Flora
La categoria forestale è un’unità puramente fisionomica che descrive un popolamento in base alla sua composizione vegetazionale. Poiché l’UMM comprende un’area molto vasta che si estende dal fondovalle sino al limite del bosco le categorie forestali presenti sono numerose: la più rappresentata è quella dei castagneti, cui seguono le boscaglie con una superficie di poco inferiore e le faggete; le altre categorie hanno superfici decisamente meno importanti, fra queste vi sono gli acero-tiglio-frassineti e i rimboschimenti, i querceti di roverella e le cerrete. Presenti in modo sporadico sono poi gli alneti planiziali e montani, i lariceti, i robinieti, le pinete di pino silvestre e saliceti e pioppeti ripari
Gli abeti (Abies Mill., 1754) sono un genere comprendente 48 specie di conifere sempreverdi della famiglia delle Pinaceae.
Il genere comprende diverse specie di alberi che raggiungono altezze di 10-80 m e un diametro del tronco di 0,5-4 m da adulti. Si distinguono da altre Pinacee in quanto:
hanno le foglie (vale a dire, gli "aghi") inserite singolarmente, mentre gli aghi dei pini (Pinus), larici (Larix) e cedri (Cedrus) sono riuniti a gruppi (di 2-5 ma anche 10-40) su particolari rametti detti brachiblasti;
hanno gli aghi appiattiti, mentre i pecci (Picea) hanno aghi con sezione rombica;
gli strobili crescono eretti, mentre nelle specie di Picea, Tsuga e Pseudotsuga crescono inclinati o penduli;
gli strobili si disintegrano a maturità per rilasciare i semi alati.
Come la maggior parte degli altri generi di Pinaceae, gli abeti sono alberi sempreverdi monoici con chioma conica o a forma di guglia, spesso appiattita o arrotondata negli esemplari anziani. Alle alte quote, vicino al limite della vegetazione arborea, raggiungono in genere dimensioni più contenute e forme più irregolari e contorte. Il loro portamento si distingue all'interno delle altre Pinaceae per la particolare uniformità: tipicamente presentano un fusto monopodiale, ovvero un unico tronco diritto, con i rami che crescono secondo uno schema a spirale, con ogni spira che rappresenta un anno di età, così che è talvolta possibile determinare l'età di un abete semplicemente contando le spire. I rami sono estremamente regolari, con un virgulto terminale, e due virgulti laterali che crescono ogni anno sulla punta dei rami più attivi. La regolarità della forma degli abeti si riscontra parzialmente solo nei pecci e nei larici, mentre è molto meno comune nei pini e assolutamente assente nelle tuie.
La corteccia si presenta liscia e sottile, con vesciche resinose, negli esemplari giovani, mentre negli esemplari maturi è spessa, rugosa e solcata, a volte sfaldata in placche
I rami sono verticillati, diffusi e disposti su un piano orizzontale, con rami internodali irregolari occasionalmente sviluppatisi da germogli dormienti
I germogli sono ramoscelli o rametti legnosi rugosi o lisci. Le gemme fogliari lasciano delle cicatrici prominenti, circolari o ellittiche, rossastre
Le foglie sono aghi generati singolarmente e persistenti per 5 o più anni (fino a 53 anni in A. amabilis), disposti a spirale o a pettine, sessili, con guaina assente; sono lineari o lanceolati, piatti, con due bande biancastre di stomi inferiormente, arrotondati o dentellati in punta, con due canali resinali. Siccome in molte specie si seccano velocemente, vi sono grosse differenze tra il fogliame profondo e quello esposto alla luce solare, vicino alle punte dei rami superiori: il fogliame esposto è più o meno eretto, incurvato o quasi falcato, inspessito o quadrangolare. Per questo nell'identificazione morfologica delle specie si fa riferimento generalmente al fogliame maturo, se non specificato altrimenti. Le gemme vegetative sono di forma ovata o oblunga con apice arrotondato o appuntito, quelle terminali circondate da 4-5 gemme secondarie. I cotiledoni sono 4-10
I fiori sono strobili maschili, disposti a gruppi lungo la parte inferiore dei rametti annuali. Appaiono in primavera e hanno forma globulare o conica, portamento pendente, e colore variabile dal giallo al rosso, verde o porpora, lasciando protuberanze color bile dopo la loro caduta
I frutti sono coni femminili che crescono sui rametti annuali e che maturano in una stagione, a portamento eretto e di forma da ovoidale a cilindrica; sono generalmente resinosi e deiscenti, con la parte centrale che rimane eretta come una spina sul rametto. Le scaglie, quasi prive di apofisi e umboni, sono arrotondate con brattee lobate, nascoste o talvolta protruse
I semi hanno una parte alata, con una sacca resinosa alla giuntura tra corpo e ala
Il legno non contiene canali resinali
Gli abeti si trovano in Europa, Africa settentrionale, Asia, America settentrionale e America centrale, ovvero nelle regioni temperate e boreali dell'emisfero settentrionale, in prevalenza montane, a parte A. balsamea e A. sibirica che hanno areale nordico. La distribuzione è molto articolata, in base ai requisiti ecologici e alla storia paleobotanica delle varie specie.
In Italia, la specie più diffusa è l'abete bianco (Abies alba), sulle Alpi e sugli Appennini, dove è l'unico abete spontaneo (con rarissime eccezioni).
Nel Nord della Sicilia è presente una specie rarissima di abete: l'abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis), limitato peraltro oggi alle Madonie e non ai Nebrodi, monti che gli hanno dato il nome.
Il genere comprende diverse specie di alberi che raggiungono altezze di 10-80 m e un diametro del tronco di 0,5-4 m da adulti. Si distinguono da altre Pinacee in quanto:
hanno le foglie (vale a dire, gli "aghi") inserite singolarmente, mentre gli aghi dei pini (Pinus), larici (Larix) e cedri (Cedrus) sono riuniti a gruppi (di 2-5 ma anche 10-40) su particolari rametti detti brachiblasti;
hanno gli aghi appiattiti, mentre i pecci (Picea) hanno aghi con sezione rombica;
gli strobili crescono eretti, mentre nelle specie di Picea, Tsuga e Pseudotsuga crescono inclinati o penduli;
gli strobili si disintegrano a maturità per rilasciare i semi alati.
Come la maggior parte degli altri generi di Pinaceae, gli abeti sono alberi sempreverdi monoici con chioma conica o a forma di guglia, spesso appiattita o arrotondata negli esemplari anziani. Alle alte quote, vicino al limite della vegetazione arborea, raggiungono in genere dimensioni più contenute e forme più irregolari e contorte. Il loro portamento si distingue all'interno delle altre Pinaceae per la particolare uniformità: tipicamente presentano un fusto monopodiale, ovvero un unico tronco diritto, con i rami che crescono secondo uno schema a spirale, con ogni spira che rappresenta un anno di età, così che è talvolta possibile determinare l'età di un abete semplicemente contando le spire. I rami sono estremamente regolari, con un virgulto terminale, e due virgulti laterali che crescono ogni anno sulla punta dei rami più attivi. La regolarità della forma degli abeti si riscontra parzialmente solo nei pecci e nei larici, mentre è molto meno comune nei pini e assolutamente assente nelle tuie.
La corteccia si presenta liscia e sottile, con vesciche resinose, negli esemplari giovani, mentre negli esemplari maturi è spessa, rugosa e solcata, a volte sfaldata in placche
I rami sono verticillati, diffusi e disposti su un piano orizzontale, con rami internodali irregolari occasionalmente sviluppatisi da germogli dormienti
I germogli sono ramoscelli o rametti legnosi rugosi o lisci. Le gemme fogliari lasciano delle cicatrici prominenti, circolari o ellittiche, rossastre
Le foglie sono aghi generati singolarmente e persistenti per 5 o più anni (fino a 53 anni in A. amabilis), disposti a spirale o a pettine, sessili, con guaina assente; sono lineari o lanceolati, piatti, con due bande biancastre di stomi inferiormente, arrotondati o dentellati in punta, con due canali resinali. Siccome in molte specie si seccano velocemente, vi sono grosse differenze tra il fogliame profondo e quello esposto alla luce solare, vicino alle punte dei rami superiori: il fogliame esposto è più o meno eretto, incurvato o quasi falcato, inspessito o quadrangolare. Per questo nell'identificazione morfologica delle specie si fa riferimento generalmente al fogliame maturo, se non specificato altrimenti. Le gemme vegetative sono di forma ovata o oblunga con apice arrotondato o appuntito, quelle terminali circondate da 4-5 gemme secondarie. I cotiledoni sono 4-10
I fiori sono strobili maschili, disposti a gruppi lungo la parte inferiore dei rametti annuali. Appaiono in primavera e hanno forma globulare o conica, portamento pendente, e colore variabile dal giallo al rosso, verde o porpora, lasciando protuberanze color bile dopo la loro caduta
I frutti sono coni femminili che crescono sui rametti annuali e che maturano in una stagione, a portamento eretto e di forma da ovoidale a cilindrica; sono generalmente resinosi e deiscenti, con la parte centrale che rimane eretta come una spina sul rametto. Le scaglie, quasi prive di apofisi e umboni, sono arrotondate con brattee lobate, nascoste o talvolta protruse
I semi hanno una parte alata, con una sacca resinosa alla giuntura tra corpo e ala
Il legno non contiene canali resinali
Gli abeti si trovano in Europa, Africa settentrionale, Asia, America settentrionale e America centrale, ovvero nelle regioni temperate e boreali dell'emisfero settentrionale, in prevalenza montane, a parte A. balsamea e A. sibirica che hanno areale nordico. La distribuzione è molto articolata, in base ai requisiti ecologici e alla storia paleobotanica delle varie specie.
In Italia, la specie più diffusa è l'abete bianco (Abies alba), sulle Alpi e sugli Appennini, dove è l'unico abete spontaneo (con rarissime eccezioni).
Nel Nord della Sicilia è presente una specie rarissima di abete: l'abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis), limitato peraltro oggi alle Madonie e non ai Nebrodi, monti che gli hanno dato il nome.
Robinia pseudoacacia L., in italiano robinia o acacia, è un albero della famiglia delle Fabacee, dette anche Leguminose, originario dell'America del Nord e largamente naturalizzato in Europa e in altri continenti.
È coltivata in viali, parchi e giardini come specie ornamentale ed è un'importante pianta mellifera: da essa si ottiene il miele di acacia.
L'acacia è una pianta con portamento arboreo (alta fino a 25 metri) o arbustivo; spesso ceduata, ha una forte attività riproduttiva agamica, con polloni che spuntano sia dal colletto, sia dalle radici.
La corteccia è di colore marrone chiaro ed è molto rugosa.
Le foglie sono composte, imparipennate, alterne, lunghe fino a 30-35 cm, con 11-21 foglioline ovate a margine intero, di colore verde pallido, glabre, lunghe fino a 6 cm e con apice esile. Le foglioline che compongono la foglia composta sono aperte di giorno, mentre la notte tendono a chiudersi sovrapponendosi.
I fiori sono bianchi o bianco-crema, lunghi circa 2 cm con l'aspetto tipico di quelli delle leguminose. Sono riuniti in grappoli pendenti ed hanno profumo molto gradevole, che si diffonde a centinaia di metri di distanza. La fioritura avviene in Italia tra la fine di aprile e le prime settimane di maggio.
I frutti sono baccelli, prima verdi e poi marroni, lunghi circa 10 cm, deiscenti a maturità.
I rami sono caratterizzati dalla presenza di numerose spine, lunghe e solide sui rami più giovani. Nelle varietà ornamentali le spine possono mancare parzialmente o del tutto.
La specie è originaria dell'America del Nord, precisamente della zona degli Appalachi, dove forma boschi puri.
Dopo l'arrivo nel vecchio continente si diffuse spontaneamente negli ambienti più disparati, ed è ora naturalizzata in gran parte dell'Europa centrale, dal sud dell'Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e Cipro. È particolarmente diffusa in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. È naturalizzata anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda. Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria: 270.000 ettari; Francia: 100.000 ettari) ed extraeuropei (Cina: 1 milione di ettari; Corea del Sud: 270.000 ettari). È diffusa anche in Africa.
In Italia la robinia è stata introdotta nel 1662 nell'Orto botanico di Padova, ossia appena sessanta anni dopo la sua introduzione in Europa per opera del botanico del re di Francia Enrico IV, Jean Robin. Da questo esemplare, nel 1750 furono tratti i semi utilizzati per introdurre la specie in Germania, secondo le intenzioni dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nell'Italia nord-occidentale giunse nel 1785, quando una robinia fu piantumata all'interno dell'Orto Botanico di Pavia. Nel 1788, un esemplare derivante da un seme dell'albero padovano fu introdotto nell'orto botanico dell'Arcispedale di Santa Maria Nova di Firenze, successivamente trapiantato in quello del Giardino dei Semplici. Autore di questa introduzione in Toscana fu Ottaviano Targioni-Tozzetti.
L'acacia è ora presente praticamente ovunque, in particolare in Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ettari), in Lombardia, in Veneto e in Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi).
La robinia o acacia è una pianta eliofila, che non si rinnova facilmente sotto copertura di altri alberi, neanche se parziale; trova l'ottimo nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti ed a reazione subacida, mal si adatta ai terreni molto argillosi. In Italia è presente dal livello del mare fino a circa 1000 m di quota nel centro nord e fino a 1600 m nel meridione.
Come tutte le leguminose, è in simbiosi radicale con microrganismi azotofissatori e quindi arricchisce il suolo di azoto, importante elemento nutriente. Nel complesso, la robinia è una specie pioniera, che al di fuori del suo areale di vegetazione naturale presenta una limitata longevità (60-70 anni) e quindi nelle zone più fertili è specie transitoria che può essere gradualmente sostituita da altre specie più longeve.
In alcuni ambienti, specie quelli degradati dall'uomo, questa pianta si comporta come specie invasiva; ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se ceduata: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità; per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone di crescita più lenta. Inoltre, la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree, un minor numero di esemplari di specie arboree autoctone e una scarsità di flora nemorale e di funghi; in Italia il problema è presente soprattutto in pianura Padana e nelle valli prealpine e appenniniche. Naturalmente, le robinie usate come ornamentali nei centri urbani non costituiscono alcun problema
Come già ricordato, a volte la robinia si comporta come specie invasiva. Un esempio in tal senso sono vaste aree della pianura Padana, dove spesso essa ha sostituito i pioppi e i salici autoctoni che crescevano lungo le rive dei fiumi. Come detto, i boschi di robinia impediscono la crescita al loro interno di molti tipi di flora e funghi del sottobosco, che crescerebbero invece in foreste costituite da altri alberi autoctoni come querce, faggi, castani ecc. Possono dunque comportare una diminuzione della biodiversità.
Una volta appurato che in un particolare ambiente la presenza della robinia rappresenti un effettivo elemento di disturbo per la vegetazione autoctona, si pone il problema del controllo della sua diffusione. Per ridurre la sua presenza all'interno dei boschi nei quali si è insediata, è vantaggioso intervenire su piante invecchiate, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce.
È importante ricordare che, in ambienti naturali integri, la robinia non si comporta come specie invasiva, come quando la sua presenza rimane limitata ai bordi delle strade e ai viali e ai giardini dove è stata appositamente piantata e quando non si diffonde nei boschi. In questi casi, a trecentocinquant'anni dalla sua introduzione, può ormai essere considerata come parte integrante della flora italiana ed è da considerarsi alla stregua di altri alberi introdotti nei secoli passati e poi acclimatatisi, apprezzabili per le loro qualità; intraprendere una lotta contro essa in queste situazioni non avrebbe senso. Autorevoli personaggi del mondo ambientale come Fulco Pratesi e Giorgio Nebbia hanno dichiarato che la lotta indiscriminata contro la robinia è una pratica insensata e che gli eventuali interventi vanno valutati caso per caso
È coltivata in viali, parchi e giardini come specie ornamentale ed è un'importante pianta mellifera: da essa si ottiene il miele di acacia.
L'acacia è una pianta con portamento arboreo (alta fino a 25 metri) o arbustivo; spesso ceduata, ha una forte attività riproduttiva agamica, con polloni che spuntano sia dal colletto, sia dalle radici.
La corteccia è di colore marrone chiaro ed è molto rugosa.
Le foglie sono composte, imparipennate, alterne, lunghe fino a 30-35 cm, con 11-21 foglioline ovate a margine intero, di colore verde pallido, glabre, lunghe fino a 6 cm e con apice esile. Le foglioline che compongono la foglia composta sono aperte di giorno, mentre la notte tendono a chiudersi sovrapponendosi.
I fiori sono bianchi o bianco-crema, lunghi circa 2 cm con l'aspetto tipico di quelli delle leguminose. Sono riuniti in grappoli pendenti ed hanno profumo molto gradevole, che si diffonde a centinaia di metri di distanza. La fioritura avviene in Italia tra la fine di aprile e le prime settimane di maggio.
I frutti sono baccelli, prima verdi e poi marroni, lunghi circa 10 cm, deiscenti a maturità.
I rami sono caratterizzati dalla presenza di numerose spine, lunghe e solide sui rami più giovani. Nelle varietà ornamentali le spine possono mancare parzialmente o del tutto.
La specie è originaria dell'America del Nord, precisamente della zona degli Appalachi, dove forma boschi puri.
Dopo l'arrivo nel vecchio continente si diffuse spontaneamente negli ambienti più disparati, ed è ora naturalizzata in gran parte dell'Europa centrale, dal sud dell'Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e Cipro. È particolarmente diffusa in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. È naturalizzata anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda. Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria: 270.000 ettari; Francia: 100.000 ettari) ed extraeuropei (Cina: 1 milione di ettari; Corea del Sud: 270.000 ettari). È diffusa anche in Africa.
In Italia la robinia è stata introdotta nel 1662 nell'Orto botanico di Padova, ossia appena sessanta anni dopo la sua introduzione in Europa per opera del botanico del re di Francia Enrico IV, Jean Robin. Da questo esemplare, nel 1750 furono tratti i semi utilizzati per introdurre la specie in Germania, secondo le intenzioni dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nell'Italia nord-occidentale giunse nel 1785, quando una robinia fu piantumata all'interno dell'Orto Botanico di Pavia. Nel 1788, un esemplare derivante da un seme dell'albero padovano fu introdotto nell'orto botanico dell'Arcispedale di Santa Maria Nova di Firenze, successivamente trapiantato in quello del Giardino dei Semplici. Autore di questa introduzione in Toscana fu Ottaviano Targioni-Tozzetti.
L'acacia è ora presente praticamente ovunque, in particolare in Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ettari), in Lombardia, in Veneto e in Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi).
La robinia o acacia è una pianta eliofila, che non si rinnova facilmente sotto copertura di altri alberi, neanche se parziale; trova l'ottimo nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti ed a reazione subacida, mal si adatta ai terreni molto argillosi. In Italia è presente dal livello del mare fino a circa 1000 m di quota nel centro nord e fino a 1600 m nel meridione.
Come tutte le leguminose, è in simbiosi radicale con microrganismi azotofissatori e quindi arricchisce il suolo di azoto, importante elemento nutriente. Nel complesso, la robinia è una specie pioniera, che al di fuori del suo areale di vegetazione naturale presenta una limitata longevità (60-70 anni) e quindi nelle zone più fertili è specie transitoria che può essere gradualmente sostituita da altre specie più longeve.
In alcuni ambienti, specie quelli degradati dall'uomo, questa pianta si comporta come specie invasiva; ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se ceduata: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità; per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone di crescita più lenta. Inoltre, la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree, un minor numero di esemplari di specie arboree autoctone e una scarsità di flora nemorale e di funghi; in Italia il problema è presente soprattutto in pianura Padana e nelle valli prealpine e appenniniche. Naturalmente, le robinie usate come ornamentali nei centri urbani non costituiscono alcun problema
Come già ricordato, a volte la robinia si comporta come specie invasiva. Un esempio in tal senso sono vaste aree della pianura Padana, dove spesso essa ha sostituito i pioppi e i salici autoctoni che crescevano lungo le rive dei fiumi. Come detto, i boschi di robinia impediscono la crescita al loro interno di molti tipi di flora e funghi del sottobosco, che crescerebbero invece in foreste costituite da altri alberi autoctoni come querce, faggi, castani ecc. Possono dunque comportare una diminuzione della biodiversità.
Una volta appurato che in un particolare ambiente la presenza della robinia rappresenti un effettivo elemento di disturbo per la vegetazione autoctona, si pone il problema del controllo della sua diffusione. Per ridurre la sua presenza all'interno dei boschi nei quali si è insediata, è vantaggioso intervenire su piante invecchiate, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce.
È importante ricordare che, in ambienti naturali integri, la robinia non si comporta come specie invasiva, come quando la sua presenza rimane limitata ai bordi delle strade e ai viali e ai giardini dove è stata appositamente piantata e quando non si diffonde nei boschi. In questi casi, a trecentocinquant'anni dalla sua introduzione, può ormai essere considerata come parte integrante della flora italiana ed è da considerarsi alla stregua di altri alberi introdotti nei secoli passati e poi acclimatatisi, apprezzabili per le loro qualità; intraprendere una lotta contro essa in queste situazioni non avrebbe senso. Autorevoli personaggi del mondo ambientale come Fulco Pratesi e Giorgio Nebbia hanno dichiarato che la lotta indiscriminata contro la robinia è una pratica insensata e che gli eventuali interventi vanno valutati caso per caso
Acer L. è un genere di piante a foglie caduche che appartiene alla famiglia Sapindaceae, comprendente oltre 150 specie diffuse in Europa, Asia e Nord America
Si tratta di alberi e arbusti di altezza da 1 a 30 m; generalmente le foglie decidue hanno 5 lobi, in alcune specie sono in numero maggiore come A. circinatum che ne ha 7 o 9, o minore come A. monspessulanum che ne ha solo 3.
Il frutto è generalmente una coppia di samare
Il genere è diffuso in tutto l'emisfero boreale, nelle zone fitoclimatiche del Lauretum, Castanetum e Fagetum
Alcune delle varietà coltivate come piante ornamentali, per l'elegante portamento e il fogliame variegato e vivamente colorato, nei giardini e nei viali sono A. negundo con foglie imparipennate, A. japonicum, A. saccharum (la cui foglia stilizzata è presente sulla bandiera del Canada) e A. griseum, per la particolare corteccia che sfaldandosi si colora di rosso; per la coltivazione in vaso e su terrazzi sono da preferire le varietà e gli ibridi a sviluppo limitato dell'A. japonicum e dell'A. palmatum, con foglie palmate più o meno profondamente incise dal colore giallo, verde pallido o rosso.
Le specie adatte alla formazione di bonsai sono l'Acero tridente (A. buergerianum) e l'Acero giapponese (A. palmatum, A. japonicum ed altri).
Le raccolte di aceri di alcuni giardini botanici e i boschi di aceri sono anche mete del turismo nazionale, in diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Giappone, per via delle accattivanti colorazioni del fogliame autunnale. Il termine giapponese momijigari (che letteralmente vuol dire "caccia alle foglie di autunno") indica la tradizione giapponese di recarsi in autunno nelle campagne per ammirare i colori fiammeggianti degli aceri del Giappone. La colorazione più o meno vivace è data dall'escursione termica fra giorno e notte: più è elevata maggiore sarà la presenza di pigmenti colorati.
Altre specie di Acer vengono utilizzate nell'arboricoltura da legno e in silvicoltura per la produzione di legname, comprendendo specie spontanee o esotiche, ricordiamo: A. campestre, A. monspessulanum, A. opalus, A. pseudoplatanus, A. platanoides.
L'acero è uno dei legni più utilizzati per la costruzione di strumenti musicali. In particolare è molto utilizzato per costruire manici di chitarra elettrica o fasce laterali, fondo e manico per gli strumenti ad arco, nonché strumenti a percussione, in particolare i tamburi.
A. saccharum e A. nigrum sono coltivati in Canada e in parti degli Stati Uniti per la produzione dello sciroppo d'acero.
Tra gli aceri autoctoni più diffusi in Italia i più comuni sono l'acero campestre, il napoletano, l'italico, l'acero d'Ungheria, l'acero riccio e quello montano; tra quelli non autoctoni, ma maggiormente diffusi come piante ornamentali, sono l'acero negundo, il saccarina e l'acero palmato
Molte specie, tra quelle rustiche, si riproducono facilmente per semi.
Le specie ornamentali sono generalmente molto delicate, esigono ambienti non troppo secchi e posizione riparata dai raggi solari estivi e dai venti dominanti, resistono bene alle gelate, richiedono terriccio fresco ben drenato, fertile non calcareo. La moltiplicazione avviene per talea o per innesto su soggetti ottenuti dalla semina.
Si tratta di alberi e arbusti di altezza da 1 a 30 m; generalmente le foglie decidue hanno 5 lobi, in alcune specie sono in numero maggiore come A. circinatum che ne ha 7 o 9, o minore come A. monspessulanum che ne ha solo 3.
Il frutto è generalmente una coppia di samare
Il genere è diffuso in tutto l'emisfero boreale, nelle zone fitoclimatiche del Lauretum, Castanetum e Fagetum
Alcune delle varietà coltivate come piante ornamentali, per l'elegante portamento e il fogliame variegato e vivamente colorato, nei giardini e nei viali sono A. negundo con foglie imparipennate, A. japonicum, A. saccharum (la cui foglia stilizzata è presente sulla bandiera del Canada) e A. griseum, per la particolare corteccia che sfaldandosi si colora di rosso; per la coltivazione in vaso e su terrazzi sono da preferire le varietà e gli ibridi a sviluppo limitato dell'A. japonicum e dell'A. palmatum, con foglie palmate più o meno profondamente incise dal colore giallo, verde pallido o rosso.
Le specie adatte alla formazione di bonsai sono l'Acero tridente (A. buergerianum) e l'Acero giapponese (A. palmatum, A. japonicum ed altri).
Le raccolte di aceri di alcuni giardini botanici e i boschi di aceri sono anche mete del turismo nazionale, in diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Giappone, per via delle accattivanti colorazioni del fogliame autunnale. Il termine giapponese momijigari (che letteralmente vuol dire "caccia alle foglie di autunno") indica la tradizione giapponese di recarsi in autunno nelle campagne per ammirare i colori fiammeggianti degli aceri del Giappone. La colorazione più o meno vivace è data dall'escursione termica fra giorno e notte: più è elevata maggiore sarà la presenza di pigmenti colorati.
Altre specie di Acer vengono utilizzate nell'arboricoltura da legno e in silvicoltura per la produzione di legname, comprendendo specie spontanee o esotiche, ricordiamo: A. campestre, A. monspessulanum, A. opalus, A. pseudoplatanus, A. platanoides.
L'acero è uno dei legni più utilizzati per la costruzione di strumenti musicali. In particolare è molto utilizzato per costruire manici di chitarra elettrica o fasce laterali, fondo e manico per gli strumenti ad arco, nonché strumenti a percussione, in particolare i tamburi.
A. saccharum e A. nigrum sono coltivati in Canada e in parti degli Stati Uniti per la produzione dello sciroppo d'acero.
Tra gli aceri autoctoni più diffusi in Italia i più comuni sono l'acero campestre, il napoletano, l'italico, l'acero d'Ungheria, l'acero riccio e quello montano; tra quelli non autoctoni, ma maggiormente diffusi come piante ornamentali, sono l'acero negundo, il saccarina e l'acero palmato
Molte specie, tra quelle rustiche, si riproducono facilmente per semi.
Le specie ornamentali sono generalmente molto delicate, esigono ambienti non troppo secchi e posizione riparata dai raggi solari estivi e dai venti dominanti, resistono bene alle gelate, richiedono terriccio fresco ben drenato, fertile non calcareo. La moltiplicazione avviene per talea o per innesto su soggetti ottenuti dalla semina.
L'agrifoglio (Ilex aquifolium L.), detto anche aquifoglio, alloro spinoso o pungitopo maggiore, è una pianta appartenente alla famiglia delle Aquifoliaceae
Albero o arbusto sempreverde dioico alto fino a 10 m, ha chioma piramidale, corteccia liscia grigia e rami verdastri.
È spontaneo in Italia, con fogliame che ai profani può sembrare persistente: in realtà le foglie vivono per un intero anno e non si rinnovano tutte contemporaneamente. Le foglie sono di colore verde scuro lucente, decorative, con varietà variegate di bianco, crema o giallo.
I frutti di colore arancio/rossastro offrono un decorativo contrasto con il colore delle foglie, che sono alterne o sparse, ovali o ellittiche, coriacee, a margine spinoso nei rami più bassi delle giovani piante, intero nelle piante adulte.
I fiori sono piccoli e riuniti in fascetti ascellari, con 4 petali di colore bianco o rosato, unisessuali; quelli maschili hanno 4 stami, quelli femminili un pistillo con ovario supero sormontato da 4 stimmi quasi sessili; durante l'inverno portano drupe globose di colore rosso vivo lucente a maturazione, contenenti 2-4 semi triangolari.
Quando le foglie dell'agrifoglio vengono danneggiate o rosicchiate, la pianta attiva i geni per renderle spinose nella ricrescita. Quindi sugli alberi di agrifoglio più alti, le foglie superiori (che sono fuori portata) hanno i bordi lisci, mentre le foglie inferiori sono spinose.
La specie è presente in Europa e nella parte occidentale del Nord Africa
A Piano Pomo, sul versante nord orientale del Massiccio del Carbonara (nelle Madonie in Sicilia) una cinquantina di annose piante di agrifoglio formano un boschetto puro. Secondo i botanici il bosco di agrifogli doveva essere diffuso in Europa nel Terziario, prima delle glaciazioni pleistoceniche. A 1400 metri di altitudine in una valle dal suolo siliceo e profondo questi esemplari hanno trovato il loro optimum climatico raggiungendo dimensioni ragguardevoli. La pianta più vecchia ha circa 900 anni.
Gradiscono posizioni ombreggiate o di sottobosco, terreno acido o semi-acido, fertile e ricco di humus.
La moltiplicazione avviene con la semina dei semi freschi, per mezzo di talea semilegnosa, per margotta o per innesto
Contiene saponine, la xantina teobromina e un pigmento giallo, l'ilexantina.
Oggigiorno l'agrifoglio viene usato raramente in fitoterapia per via della sua tossicità, ma presenta proprietà diuretiche, febbrifughe e lassative. Ha inoltre un effetto simile a quello della serotonina.
Il decotto delle giovani radici raccolte in autunno è diuretico;
Il decotto e il vino medicato della corteccia raccolta in qualunque periodo dell'anno vantano proprietà febbrifughe;
L'infuso delle foglie raccolte prima della fioritura e fatte essiccare all'ombra ha proprietà calmanti, febbrifughe e curative dell'itterizia, contiene tra le altre sostanze la ilicina;
I frutti raccolti a maturazione da ottobre a dicembre e fatti essiccare al calore hanno azione purgativa.
Albero o arbusto sempreverde dioico alto fino a 10 m, ha chioma piramidale, corteccia liscia grigia e rami verdastri.
È spontaneo in Italia, con fogliame che ai profani può sembrare persistente: in realtà le foglie vivono per un intero anno e non si rinnovano tutte contemporaneamente. Le foglie sono di colore verde scuro lucente, decorative, con varietà variegate di bianco, crema o giallo.
I frutti di colore arancio/rossastro offrono un decorativo contrasto con il colore delle foglie, che sono alterne o sparse, ovali o ellittiche, coriacee, a margine spinoso nei rami più bassi delle giovani piante, intero nelle piante adulte.
I fiori sono piccoli e riuniti in fascetti ascellari, con 4 petali di colore bianco o rosato, unisessuali; quelli maschili hanno 4 stami, quelli femminili un pistillo con ovario supero sormontato da 4 stimmi quasi sessili; durante l'inverno portano drupe globose di colore rosso vivo lucente a maturazione, contenenti 2-4 semi triangolari.
Quando le foglie dell'agrifoglio vengono danneggiate o rosicchiate, la pianta attiva i geni per renderle spinose nella ricrescita. Quindi sugli alberi di agrifoglio più alti, le foglie superiori (che sono fuori portata) hanno i bordi lisci, mentre le foglie inferiori sono spinose.
La specie è presente in Europa e nella parte occidentale del Nord Africa
A Piano Pomo, sul versante nord orientale del Massiccio del Carbonara (nelle Madonie in Sicilia) una cinquantina di annose piante di agrifoglio formano un boschetto puro. Secondo i botanici il bosco di agrifogli doveva essere diffuso in Europa nel Terziario, prima delle glaciazioni pleistoceniche. A 1400 metri di altitudine in una valle dal suolo siliceo e profondo questi esemplari hanno trovato il loro optimum climatico raggiungendo dimensioni ragguardevoli. La pianta più vecchia ha circa 900 anni.
Gradiscono posizioni ombreggiate o di sottobosco, terreno acido o semi-acido, fertile e ricco di humus.
La moltiplicazione avviene con la semina dei semi freschi, per mezzo di talea semilegnosa, per margotta o per innesto
Contiene saponine, la xantina teobromina e un pigmento giallo, l'ilexantina.
Oggigiorno l'agrifoglio viene usato raramente in fitoterapia per via della sua tossicità, ma presenta proprietà diuretiche, febbrifughe e lassative. Ha inoltre un effetto simile a quello della serotonina.
Il decotto delle giovani radici raccolte in autunno è diuretico;
Il decotto e il vino medicato della corteccia raccolta in qualunque periodo dell'anno vantano proprietà febbrifughe;
L'infuso delle foglie raccolte prima della fioritura e fatte essiccare all'ombra ha proprietà calmanti, febbrifughe e curative dell'itterizia, contiene tra le altre sostanze la ilicina;
I frutti raccolti a maturazione da ottobre a dicembre e fatti essiccare al calore hanno azione purgativa.
Il bagolaro (Celtis australis L., 1753, chiamato anche buzzarago, romiglia, spaccasassi o albero dei rosari) è una pianta appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. La specie è nativa dell'Europa meridionale, Africa del Nord e Asia minore
Il bagolaro viene chiamato anche buzzaragolo, caccamo, falsarago, fausaracio, fraggiracolo, lodogno o mugniacio.
È una caducifoglia e latifoglia, un albero alto sino a 20-25 m (altezza media 10-12 m). Il tronco è abbastanza breve, robusto e caratterizzato in età adulta da possenti nervature, con rami primari di notevoli dimensioni, mentre quelli secondari tendono a essere penduli. La chioma è piuttosto densa, espansa, quasi perfettamente tondeggiante.
Ha un legno chiaro, duro, tenace, elastico e di grande durata. Attecchisce facilmente, sviluppando un apparato radicale profondo, e talvolta la sua presenza comporta il deperimento delle specie arboree limitrofe. È un albero a crescita lenta, molto longevo, fino a diventare plurisecolare. Grazie al forte apparato radicale è in grado di sopravvivere anche in terreni carsici e sassosi, asciutti.
Le foglie del bagolaro hanno un picciolo lungo (5-15 mm) e una lamina quasi ellittica o lanceolata (2-6 cm × 5-15 cm). Sono caratterizzate da un apice allungato e da base un po' asimmetrica. La pagina superiore è più scura e ruvida.
I fiori sono ermafroditi e unisessuali (maschili), compaiono con le foglie e sono riuniti in piccoli grappoli; ogni fiore misura 2-3 mm. La fioritura avviene fra aprile e maggio
I frutti sono drupe subsferiche di 8-12 mm. Dapprima di colore giallo o grigio-verde chiaro, con la maturazione divengono scure. Sono eduli, di sapore dolciastro, ma la polpa è scarsa.
È presente in Europa meridionale, Africa settentrionale, Asia minore e Medio Oriente.
Cresce in boschi di latifoglie, anche in luoghi sassosi e aridi, con terreno calcareo. Si associa facilmente a olmo, carpino, nocciolo, frassino, orniello, querce e aceri.
Il bagolaro viene chiamato anche buzzaragolo, caccamo, falsarago, fausaracio, fraggiracolo, lodogno o mugniacio.
È una caducifoglia e latifoglia, un albero alto sino a 20-25 m (altezza media 10-12 m). Il tronco è abbastanza breve, robusto e caratterizzato in età adulta da possenti nervature, con rami primari di notevoli dimensioni, mentre quelli secondari tendono a essere penduli. La chioma è piuttosto densa, espansa, quasi perfettamente tondeggiante.
Ha un legno chiaro, duro, tenace, elastico e di grande durata. Attecchisce facilmente, sviluppando un apparato radicale profondo, e talvolta la sua presenza comporta il deperimento delle specie arboree limitrofe. È un albero a crescita lenta, molto longevo, fino a diventare plurisecolare. Grazie al forte apparato radicale è in grado di sopravvivere anche in terreni carsici e sassosi, asciutti.
Le foglie del bagolaro hanno un picciolo lungo (5-15 mm) e una lamina quasi ellittica o lanceolata (2-6 cm × 5-15 cm). Sono caratterizzate da un apice allungato e da base un po' asimmetrica. La pagina superiore è più scura e ruvida.
I fiori sono ermafroditi e unisessuali (maschili), compaiono con le foglie e sono riuniti in piccoli grappoli; ogni fiore misura 2-3 mm. La fioritura avviene fra aprile e maggio
I frutti sono drupe subsferiche di 8-12 mm. Dapprima di colore giallo o grigio-verde chiaro, con la maturazione divengono scure. Sono eduli, di sapore dolciastro, ma la polpa è scarsa.
È presente in Europa meridionale, Africa settentrionale, Asia minore e Medio Oriente.
Cresce in boschi di latifoglie, anche in luoghi sassosi e aridi, con terreno calcareo. Si associa facilmente a olmo, carpino, nocciolo, frassino, orniello, querce e aceri.
Betula L., 1753 è un genere di piante della famiglia delle Betulacee, genericamente note come betulle.
Il genere comprende oltre 40 specie originarie dell'emisfero boreale.
Si tratta di alberi e arbusti di color bianco sporco e fogliame caduco che possono raggiungere i 15-30 m di altezza, foglie variamente formate e sfumate di giallo a seconda della specie o varietà. La specie più diffusa è la Betula pendula (sinonimo Betula verrucosa), da alcuni autori considerata una sottospecie o varietà di B. alba e chiamata volgarmente betulla bianca, betulla pendula o betulla d'argento, e predilige terreni acidi, poveri, sabbiosi o ciottolosi. Mentre la Betula pubescens, nota con il nome di betulla pelosa o betulla delle torbiere, dalle foglie pelose, predilige terreni paludosi o torbosi ed è di dimensioni analoghe alla B. pendula, anche se si presenta più frequentemente come alberetto o cespuglio.
Le betulle si caratterizzano per la corteccia bianca e nera dovuta alla presenza di granuli di betulina. Sono dotate di una notevole rusticità, sono resistenti a condizioni ambientali avverse, quali geli improvvisi e prolungati e lunghi periodi di siccità; sono diffuse nelle regioni del Picetum, Fagetum e Castanetum, ma si spingono anche nelle zone superiori e inferiori.
Come altri generi appartenenti alla famiglia, per esempio alcune specie di Alnus (ontano), le betulle sono interessate a una simbiosi radicale, realizzate da attinomiceti del genere Frankia, a funzione azotofissatrice. Tale simbiosi fornisce un enorme vantaggio per la pianta, che quindi riesce a vivere in luoghi molto poveri di risorse.
Il genere Betula è distribuito prevalentemente nelle zone temperate e boreali dell'emisfero nord. Sono piante eliofile e pioniere che rapidamente occupano aree scoperte dopo gli incendi o il taglio. Possono formare boschi puri o presentarsi in gruppi ed elementi isolati.
Nonostante sia attaccata da innumerevoli parassiti animali e vegetali subisce danni limitati, mentre subisce attacchi di una certa gravità solo in condizioni particolari.
Si moltiplica naturalmente per seme, per talea dei polloni.
In erboristeria l'estratto idro-alcolico di betulla è dotato di potente azione diuretica, drenante linfatica, antisettica delle vie urinarie e anti-infiammatoria. Questo grazie al suo contenuto di saponine triterpeniche (fino al 3-4%), di glucosidi flavonici (iperoside, quercitrina, rutina) e di polisaccaridi (metilpentosani), che cooperano globalmente a un effetto drenante dei liquidi in eccesso, delle scorie azotate (specie acido urico) e di abbassamento del colesterolo ematico. Per tale motivo trova impiego in preparazioni erboristiche e cosmetiche contro la cellulite.
L'acido betulinico, estratto dalla corteccia della betulla e da molti altri vegetali, e alcuni suoi derivati maggiormente idrosolubili in vitro sono citotossici per cellule di neuroblastoma, melanoma, medulloblastoma e sarcoma di Ewing.
Il genere comprende oltre 40 specie originarie dell'emisfero boreale.
Si tratta di alberi e arbusti di color bianco sporco e fogliame caduco che possono raggiungere i 15-30 m di altezza, foglie variamente formate e sfumate di giallo a seconda della specie o varietà. La specie più diffusa è la Betula pendula (sinonimo Betula verrucosa), da alcuni autori considerata una sottospecie o varietà di B. alba e chiamata volgarmente betulla bianca, betulla pendula o betulla d'argento, e predilige terreni acidi, poveri, sabbiosi o ciottolosi. Mentre la Betula pubescens, nota con il nome di betulla pelosa o betulla delle torbiere, dalle foglie pelose, predilige terreni paludosi o torbosi ed è di dimensioni analoghe alla B. pendula, anche se si presenta più frequentemente come alberetto o cespuglio.
Le betulle si caratterizzano per la corteccia bianca e nera dovuta alla presenza di granuli di betulina. Sono dotate di una notevole rusticità, sono resistenti a condizioni ambientali avverse, quali geli improvvisi e prolungati e lunghi periodi di siccità; sono diffuse nelle regioni del Picetum, Fagetum e Castanetum, ma si spingono anche nelle zone superiori e inferiori.
Come altri generi appartenenti alla famiglia, per esempio alcune specie di Alnus (ontano), le betulle sono interessate a una simbiosi radicale, realizzate da attinomiceti del genere Frankia, a funzione azotofissatrice. Tale simbiosi fornisce un enorme vantaggio per la pianta, che quindi riesce a vivere in luoghi molto poveri di risorse.
Il genere Betula è distribuito prevalentemente nelle zone temperate e boreali dell'emisfero nord. Sono piante eliofile e pioniere che rapidamente occupano aree scoperte dopo gli incendi o il taglio. Possono formare boschi puri o presentarsi in gruppi ed elementi isolati.
Nonostante sia attaccata da innumerevoli parassiti animali e vegetali subisce danni limitati, mentre subisce attacchi di una certa gravità solo in condizioni particolari.
Si moltiplica naturalmente per seme, per talea dei polloni.
In erboristeria l'estratto idro-alcolico di betulla è dotato di potente azione diuretica, drenante linfatica, antisettica delle vie urinarie e anti-infiammatoria. Questo grazie al suo contenuto di saponine triterpeniche (fino al 3-4%), di glucosidi flavonici (iperoside, quercitrina, rutina) e di polisaccaridi (metilpentosani), che cooperano globalmente a un effetto drenante dei liquidi in eccesso, delle scorie azotate (specie acido urico) e di abbassamento del colesterolo ematico. Per tale motivo trova impiego in preparazioni erboristiche e cosmetiche contro la cellulite.
L'acido betulinico, estratto dalla corteccia della betulla e da molti altri vegetali, e alcuni suoi derivati maggiormente idrosolubili in vitro sono citotossici per cellule di neuroblastoma, melanoma, medulloblastoma e sarcoma di Ewing.
Il biancospino (Crataegus monogyna Jacq., 1775) è un arbusto o un piccolo albero molto ramificato, contorto e spinoso, appartenente alla famiglia delle Rosacee
Il biancospino è una caducifoglia e latifoglia, l'arbusto può raggiungere altezze comprese tra i 50 centimetri ed i 6 metri. Il fusto è ricoperto da una corteccia compatta, di colore grigio. I rami giovani sono dotati di spine che si sviluppano alla base dei rametti brevi. Sono i rametti spinosi (brocche) che in primavera si rivestono di gemme e fiori. Questa specie è longeva e può diventare pluricentenaria, ma con crescita lenta. Un esemplare monumentale è il Biancospino di Vallonica che si trova nel Parco del Monte Subasio in Umbria
Le foglie sono lunghe 2-6 centimetri, dotate di picciolo, di forma romboidale ed incise profondamente. L'apice dei lobi è dentellato
I fiori sono raggruppati in corimbi, che ne contengono circa 5-25. I petali sono di colore bianco-rosato e lunghi 5 o 6 millimetri
I frutti sono ovali, rossi a maturazione, delle dimensioni di circa 1 cm e con un nocciolo che contiene il seme. La fioritura avviene tipicamente tra aprile e maggio, mentre i frutti maturano fra settembre e ottobre. I frutti del biancospino sono edibili, ma solitamente non vengono mangiati freschi, perché piccoli e con un grosso nocciolo, bensì lavorati per ottenere marmellate, gelatine o sciroppi. I frutti sono decorativi perché rimangono a lungo sull'arbusto, anche durante tutto l'inverno
Si trova in Europa, Nordafrica, Asia occidentale. Il suo habitat naturale è rappresentato dalle aree di boscaglia e tra i cespugli, in terreni prevalentemente calcarei. Vegeta a quote comprese tra il livello del mare e 1.500 metri
Testimonianze sull'uso medicinale del biancospino si trovano già in Teofrasto, Dioscoride, nel Materia Medica della dinastia Tang (Tang bencao), risalente al 659 d.C. (la prima farmacopea ufficiale conosciuta al mondo) e poi in età volgare nel Mattioli. L'uso principale è di antispasmodico e sedativo, particolarmente nei casi di disturbi cardiaci di origine nervosa. Alcuni autori gli riconoscono anche utilizzo di ricostituente e antidiarroico.
I principi attivi contenuti nella pianta sono:
flavonoidi tra cui l'iperoside e la vitexina;
composti triterpenici tra i quali l'acido ursolico;
ammine e steroli;
tannino e derivati purinici.
Ha un'azione coronariodilatatrice, vasodilatatrice dei vasi sanguigni addominali e coronarici, azione inotropa positiva, risparmio del consumo di ossigeno da parte del muscolo cardiaco, modulazione della concentrazione intracellulare di calcio, sedativa sul sistema nervoso centrale, diminuzione della frequenza cardiaca.
È indicato nelle nevrosi cardiache: negli stati di ipereccitabilità e nell'ipertensione arteriosa.
È utilizzato anche come ansiolitico e nel trattamento dei casi di insonnia. Il biancospino è un'erba officinale
Il biancospino è una caducifoglia e latifoglia, l'arbusto può raggiungere altezze comprese tra i 50 centimetri ed i 6 metri. Il fusto è ricoperto da una corteccia compatta, di colore grigio. I rami giovani sono dotati di spine che si sviluppano alla base dei rametti brevi. Sono i rametti spinosi (brocche) che in primavera si rivestono di gemme e fiori. Questa specie è longeva e può diventare pluricentenaria, ma con crescita lenta. Un esemplare monumentale è il Biancospino di Vallonica che si trova nel Parco del Monte Subasio in Umbria
Le foglie sono lunghe 2-6 centimetri, dotate di picciolo, di forma romboidale ed incise profondamente. L'apice dei lobi è dentellato
I fiori sono raggruppati in corimbi, che ne contengono circa 5-25. I petali sono di colore bianco-rosato e lunghi 5 o 6 millimetri
I frutti sono ovali, rossi a maturazione, delle dimensioni di circa 1 cm e con un nocciolo che contiene il seme. La fioritura avviene tipicamente tra aprile e maggio, mentre i frutti maturano fra settembre e ottobre. I frutti del biancospino sono edibili, ma solitamente non vengono mangiati freschi, perché piccoli e con un grosso nocciolo, bensì lavorati per ottenere marmellate, gelatine o sciroppi. I frutti sono decorativi perché rimangono a lungo sull'arbusto, anche durante tutto l'inverno
Si trova in Europa, Nordafrica, Asia occidentale. Il suo habitat naturale è rappresentato dalle aree di boscaglia e tra i cespugli, in terreni prevalentemente calcarei. Vegeta a quote comprese tra il livello del mare e 1.500 metri
Testimonianze sull'uso medicinale del biancospino si trovano già in Teofrasto, Dioscoride, nel Materia Medica della dinastia Tang (Tang bencao), risalente al 659 d.C. (la prima farmacopea ufficiale conosciuta al mondo) e poi in età volgare nel Mattioli. L'uso principale è di antispasmodico e sedativo, particolarmente nei casi di disturbi cardiaci di origine nervosa. Alcuni autori gli riconoscono anche utilizzo di ricostituente e antidiarroico.
I principi attivi contenuti nella pianta sono:
flavonoidi tra cui l'iperoside e la vitexina;
composti triterpenici tra i quali l'acido ursolico;
ammine e steroli;
tannino e derivati purinici.
Ha un'azione coronariodilatatrice, vasodilatatrice dei vasi sanguigni addominali e coronarici, azione inotropa positiva, risparmio del consumo di ossigeno da parte del muscolo cardiaco, modulazione della concentrazione intracellulare di calcio, sedativa sul sistema nervoso centrale, diminuzione della frequenza cardiaca.
È indicato nelle nevrosi cardiache: negli stati di ipereccitabilità e nell'ipertensione arteriosa.
È utilizzato anche come ansiolitico e nel trattamento dei casi di insonnia. Il biancospino è un'erba officinale
Buxus sempervirens (L., 1753), comunemente noto come bosso, bosso comune o bossolo, è una pianta appartenente alla famiglia delle Buxaceae, originaria del bacino del Mediterraneo
Portamento
arbusto sempreverde eretto e cespuglioso di altezza variabile tra i 2 e 4 m, longevo, dall'odore caratteristico, ha robuste radici ancoranti, fusto ingrossato alla base, tortuoso e ramificato, chioma folta.
Corteccia
la corteccia dapprima liscia e verdognola, nel tempo assume una colorazione grigio-biancastra, ha proprietà medicinali.
Foglie
foglioline opposte persistenti, sessili o brevemente picciolate, di colore verde cupo lucente superiormente, più chiara inferiormente, di forma ovoidale, oblunga o arrotondata, con il margine liscio ad eccezione dell'apice.
Fiori
unisessuali, piccoli, riuniti in glomeruli ascellari, il fiore centrale è generalmente femminile, quelli periferici maschili; sono fiori rudimentali senza una corolla vera e propria, il calice è formato da 4 lacinie, che nei fiori maschili circondano gli stami, e in quelli femminili l'unico pistillo con ovario supero, ovoidale e sormontato da 3 grossi stimmi. I fiori maschili e femminili del glomerulo sono inseriti direttamente su una formazione glandulosa, che è un nettario a forma piramidale, la pianta fiorisce generalmente da marzo fino a maggio.
Frutti
dopo la fecondazione l'ovario si trasforma in una capsula coriacea sormontata da 3 rostri, derivati dagli stili del pistillo, che permangono anche nel frutto, che ha una caratteristica forma di deiscenza per il lancio a distanza dei semi bislunghi, brunastri, lucidi e ricchi di albume.
B. sempervirens è una specie diffusa tra l'Europa all'Asia occidentale fino all'Africa settentrionale, con un areale centrato nel bacino del Mediterraneo.
Predilige zone aride, rocciose, prevalentemente calcaree, fino ad altitudini elevate.
Come pianta medicinale, vengono utilizzate le foglie e la corteccia, per il contenuto in alcaloidi vari (ad es. la bussina) e di altre sostanze lassative; tenere presente che è una pianta potenzialmente velenosa.
Le foglie, raccolte in qualunque stagione dell'anno ed essiccate all'ombra, hanno proprietà sudorifere, colagoghe, purgative e antireumatiche, viene usata la polvere per preparare infusi
La corteccia, raccolta in autunno-inverno o anche in primavera e privata del sughero esterno, è emetica, sudorifera e febbrifuga, viene somministrata come vino medicato o come decotto dolcificato con zucchero o miele.
Necessita di buona esposizione al sole, terreno sciolto ben drenato e calcareo, si può moltiplicare con la semina; le varietà vengono moltiplicate per mezzo di talee o con la divisione dei giovani cespi, la potatura è necessaria per mantenere una forma compatta o obbligata; e nella varietà aureo variegata risulta indispensabile per eliminare alla comparsa i rami a foglie verdi.
Portamento
arbusto sempreverde eretto e cespuglioso di altezza variabile tra i 2 e 4 m, longevo, dall'odore caratteristico, ha robuste radici ancoranti, fusto ingrossato alla base, tortuoso e ramificato, chioma folta.
Corteccia
la corteccia dapprima liscia e verdognola, nel tempo assume una colorazione grigio-biancastra, ha proprietà medicinali.
Foglie
foglioline opposte persistenti, sessili o brevemente picciolate, di colore verde cupo lucente superiormente, più chiara inferiormente, di forma ovoidale, oblunga o arrotondata, con il margine liscio ad eccezione dell'apice.
Fiori
unisessuali, piccoli, riuniti in glomeruli ascellari, il fiore centrale è generalmente femminile, quelli periferici maschili; sono fiori rudimentali senza una corolla vera e propria, il calice è formato da 4 lacinie, che nei fiori maschili circondano gli stami, e in quelli femminili l'unico pistillo con ovario supero, ovoidale e sormontato da 3 grossi stimmi. I fiori maschili e femminili del glomerulo sono inseriti direttamente su una formazione glandulosa, che è un nettario a forma piramidale, la pianta fiorisce generalmente da marzo fino a maggio.
Frutti
dopo la fecondazione l'ovario si trasforma in una capsula coriacea sormontata da 3 rostri, derivati dagli stili del pistillo, che permangono anche nel frutto, che ha una caratteristica forma di deiscenza per il lancio a distanza dei semi bislunghi, brunastri, lucidi e ricchi di albume.
B. sempervirens è una specie diffusa tra l'Europa all'Asia occidentale fino all'Africa settentrionale, con un areale centrato nel bacino del Mediterraneo.
Predilige zone aride, rocciose, prevalentemente calcaree, fino ad altitudini elevate.
Come pianta medicinale, vengono utilizzate le foglie e la corteccia, per il contenuto in alcaloidi vari (ad es. la bussina) e di altre sostanze lassative; tenere presente che è una pianta potenzialmente velenosa.
Le foglie, raccolte in qualunque stagione dell'anno ed essiccate all'ombra, hanno proprietà sudorifere, colagoghe, purgative e antireumatiche, viene usata la polvere per preparare infusi
La corteccia, raccolta in autunno-inverno o anche in primavera e privata del sughero esterno, è emetica, sudorifera e febbrifuga, viene somministrata come vino medicato o come decotto dolcificato con zucchero o miele.
Necessita di buona esposizione al sole, terreno sciolto ben drenato e calcareo, si può moltiplicare con la semina; le varietà vengono moltiplicate per mezzo di talee o con la divisione dei giovani cespi, la potatura è necessaria per mantenere una forma compatta o obbligata; e nella varietà aureo variegata risulta indispensabile per eliminare alla comparsa i rami a foglie verdi.
Camellia L., 1753 è un genere di piante della famiglia delle Theaceae, originario delle zone tropicali dell'Asia
Il genere Camellia comprende piante a portamento arbustivo o ad alberello, sempreverdi, alte in natura fino a 15 metri. Le foglie sono semplici alterne, di colore verde più o meno scuro secondo la specie, lucide e coriacee, a volte carnose e provviste di stipole e ghiandole aromatiche, con i margini lisci o crenati, di forma ellittica, lanceolata o oblungo-lanceolata. I fiori sono semplici o doppi di colore bianco, roseo o rosso, privi di profumo o molto profumati, possono raggiungere i 20 cm di diametro.
Sono piante adatte ai climi temperati e umidi
Nelle zone tropicali asiatiche viene coltivata estensivamente la C. sinensis (L.) O. Kuntze (= C. thea), le cui giovani foglie apicali sono raccolte e usate a scopo alimentare per la bevanda conosciuta con il nome di tè; tutte le innumerevoli varianti di tè (nero, verde, giallo, oolong, aromatizzato, eccetera) provengono dalla stessa pianta e dipendono solo dalle diverse lavorazioni delle foglie dopo il raccolto. La pianta fu introdotta anche in Nord America (Carolina del Sud) dal botanico francese André Michaux attorno al 1890.
La specie più coltivata come pianta ornamentale nei giardini, parchi e viali, è C. japonica L., originaria della Corea e del Giappone. L'arbusto raggiunge alcuni metri di altezza e presenta foglie persistenti e ovali di colore verde cupo lucente, fioritura tardo invernale e primaverile con fiori dai colori nelle varie sfumature dal bianco al rosso cupo, e grandi corolle a forma di rosa aperta e appiattita che, quando appassiscono, cadono a terra in un blocco unico e non sfiorendo petalo per petalo.
In Italia la camelia da fiore è stata introdotta per la prima volta alla fine del XVIII secolo nella Reggia di Caserta: la prima menzione documentaria certa risale al 1786 e riguarda la coltivazione di C. japonica nel giardino inglese da parte del botanico britannico John Andrew Graefer per la regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, anche se la leggenda vuole che il fiore fosse arrivato lì già un decennio prima come pegno d'amore di Horatio Nelson a Emma Hamilton, al tempo moglie dell'ambasciatore britannico presso la corte borbonica.
La coltivazione di C. japonica da fiore è diffusa nella zona dei laghi prealpini, dove è famosa la collezione di Villa Taranto sul Lago Maggiore, in alto Piemonte, dove si trovano numerosi boschetti utilizzati per la raccolta dei fiori in boccio, e nell'Italia centro-meridionale e insulare, in particolare in Toscana nella zona intorno a Sant'Andrea di Compito, frazione del comune di Capannori (LU), i cui terreni naturalmente acidi hanno favorito la coltivazione fin dal XVIII secolo e dove si svolge ogni primavera la manifestazione "Antiche camelie della Lucchesia".
C. sinensis da tè invece è stata introdotta in maniera consistente solo negli anni 2020 con una prima piantagione sperimentale a Premosello-Chiovenda (VB), che con le sue circa 24000 piante è la seconda per estensione in Europa dopo quella di Chá Gorreana sull'isola di São Miguel delle Azzorre
Il genere Camellia comprende piante a portamento arbustivo o ad alberello, sempreverdi, alte in natura fino a 15 metri. Le foglie sono semplici alterne, di colore verde più o meno scuro secondo la specie, lucide e coriacee, a volte carnose e provviste di stipole e ghiandole aromatiche, con i margini lisci o crenati, di forma ellittica, lanceolata o oblungo-lanceolata. I fiori sono semplici o doppi di colore bianco, roseo o rosso, privi di profumo o molto profumati, possono raggiungere i 20 cm di diametro.
Sono piante adatte ai climi temperati e umidi
Nelle zone tropicali asiatiche viene coltivata estensivamente la C. sinensis (L.) O. Kuntze (= C. thea), le cui giovani foglie apicali sono raccolte e usate a scopo alimentare per la bevanda conosciuta con il nome di tè; tutte le innumerevoli varianti di tè (nero, verde, giallo, oolong, aromatizzato, eccetera) provengono dalla stessa pianta e dipendono solo dalle diverse lavorazioni delle foglie dopo il raccolto. La pianta fu introdotta anche in Nord America (Carolina del Sud) dal botanico francese André Michaux attorno al 1890.
La specie più coltivata come pianta ornamentale nei giardini, parchi e viali, è C. japonica L., originaria della Corea e del Giappone. L'arbusto raggiunge alcuni metri di altezza e presenta foglie persistenti e ovali di colore verde cupo lucente, fioritura tardo invernale e primaverile con fiori dai colori nelle varie sfumature dal bianco al rosso cupo, e grandi corolle a forma di rosa aperta e appiattita che, quando appassiscono, cadono a terra in un blocco unico e non sfiorendo petalo per petalo.
In Italia la camelia da fiore è stata introdotta per la prima volta alla fine del XVIII secolo nella Reggia di Caserta: la prima menzione documentaria certa risale al 1786 e riguarda la coltivazione di C. japonica nel giardino inglese da parte del botanico britannico John Andrew Graefer per la regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, anche se la leggenda vuole che il fiore fosse arrivato lì già un decennio prima come pegno d'amore di Horatio Nelson a Emma Hamilton, al tempo moglie dell'ambasciatore britannico presso la corte borbonica.
La coltivazione di C. japonica da fiore è diffusa nella zona dei laghi prealpini, dove è famosa la collezione di Villa Taranto sul Lago Maggiore, in alto Piemonte, dove si trovano numerosi boschetti utilizzati per la raccolta dei fiori in boccio, e nell'Italia centro-meridionale e insulare, in particolare in Toscana nella zona intorno a Sant'Andrea di Compito, frazione del comune di Capannori (LU), i cui terreni naturalmente acidi hanno favorito la coltivazione fin dal XVIII secolo e dove si svolge ogni primavera la manifestazione "Antiche camelie della Lucchesia".
C. sinensis da tè invece è stata introdotta in maniera consistente solo negli anni 2020 con una prima piantagione sperimentale a Premosello-Chiovenda (VB), che con le sue circa 24000 piante è la seconda per estensione in Europa dopo quella di Chá Gorreana sull'isola di São Miguel delle Azzorre
Carpinus L., 1753 è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Betulacee. Il genere comprende nel complesso 26 specie che colonizzano le aree temperate dell'emisfero boreale.
In Italia sono presenti le seguenti specie:
Carpinus betulus L. (carpino bianco), albero tipico dell'Europa occidentale;
Carpinus orientalis Mill. (carpino orientale, carpinello o, meno frequentemente, carpinella), piccolo albero diffuso invece nell'Europa orientale.
L'albero comunemente chiamato carpino nero o carpinella, anch'esso presente in Italia, non appartiene a questo genere, ma al genere affine Ostrya
Il genere comprende specie con fiori maschili e femminili separati; le specie sono monoiche (cioè le infiorescenze maschili e femminili sono portati sul medesimo individuo). Le foglie sono caduche, alterne e dentate.
I frutti sono delle noci portate da una brattea fogliacea triloba (in Carpinus betulus L.) o con il margine profondamente serrato (in Carpinus orientalis Mill.), la forma della brattea è un elemento distintivo rispetto al carpino nero
Prediligono, nell'Italia peninsulare, gli ambienti di collina, mentre al settentrione crescono anche in pianura. Generalmente, negli stessi boschi, si possono trovare mescolate una delle due specie di Carpinus con Ostrya, ma è molto raro che si mescolino tra loro le due specie di Carpinus.
Parente stretto dei carpini è il nocciolo (Corylus avellana L.).
In Italia sono presenti le seguenti specie:
Carpinus betulus L. (carpino bianco), albero tipico dell'Europa occidentale;
Carpinus orientalis Mill. (carpino orientale, carpinello o, meno frequentemente, carpinella), piccolo albero diffuso invece nell'Europa orientale.
L'albero comunemente chiamato carpino nero o carpinella, anch'esso presente in Italia, non appartiene a questo genere, ma al genere affine Ostrya
Il genere comprende specie con fiori maschili e femminili separati; le specie sono monoiche (cioè le infiorescenze maschili e femminili sono portati sul medesimo individuo). Le foglie sono caduche, alterne e dentate.
I frutti sono delle noci portate da una brattea fogliacea triloba (in Carpinus betulus L.) o con il margine profondamente serrato (in Carpinus orientalis Mill.), la forma della brattea è un elemento distintivo rispetto al carpino nero
Prediligono, nell'Italia peninsulare, gli ambienti di collina, mentre al settentrione crescono anche in pianura. Generalmente, negli stessi boschi, si possono trovare mescolate una delle due specie di Carpinus con Ostrya, ma è molto raro che si mescolino tra loro le due specie di Carpinus.
Parente stretto dei carpini è il nocciolo (Corylus avellana L.).
Il castagno europeo (Castanea sativa Mill., 1768), in Italia più comunemente chiamato castagno, è un albero appartenente alla famiglia Fagaceae, Negli ultimi decenni è stato sovente introdotto, per motivi fitopatologici, il castagno giapponese (Castanea crenata). Le popolazioni presenti in Europa sono perciò principalmente riconducibili a semenzali di castagno europeo o a castagni europei innestati sul giapponese o a ibridi delle due specie.
Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell'Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall'antichità, l'interesse dell'uomo per i molteplici utilizzi. Oltre all'interesse intrinseco sotto l'aspetto ecologico, questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l'areale, per la produzione del legname e del frutto. Quest'ultimo, in passato, ha rappresentato un'importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e, nelle zone più fresche prealpine, d'alta collina, in quanto erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina di castagne.
L'importanza economica del castagno ha attualmente subito un drastico ridimensionamento: la coltura da frutto è oggi limitata alle cultivar di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l'utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell'industria dolciaria.
Si ritiene che buona parte delle superfici forestali a castagno siano derivate da una rinaturalizzazione di antiche coltivazioni abbandonate nel tempo, mentre la coltivazione si è ridotta alle stazioni più favorevoli, dove è possibile ottenere le migliori caratteristiche merceologiche del castagno, in particolare il legname
Il castagno è una pianta arborea, con chioma espansa e rotondeggiante ed altezza variabile, dai 10 ai 30 metri. il castagno è una specie eliofila, caducifoglie e latifoglie. I castagni sono alberi molto longevi, possono diventare plurimillenari. La fioritura avviene a giugno e la fruttificazione a settembre-ottobre a seconda delle varietà.
In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro. La corteccia dei rami è di colore bianco ed è cosparsa di lenticelle trasverse. Con il passare degli anni, generalmente dai quarant'anni in poi, la corteccia inizia a fessurarsi longitudinalmente a partire dal colletto.
Le foglie sono alterne, provviste di un breve picciolo e, alla base di questo, di due stipole oblunghe. La lamina è grande, lunga anche fino a 20-22 cm e larga fino a 10 cm, di forma lanceolata, acuminata all'apice e seghettata nel margine, con denti acuti e regolarmente dislocati. Le foglie giovani sono tomentose, ma a sviluppo completo sono glabre, lucide e di consistenza coriacea.
I fiori sono unisessuali, presenti sulla stessa pianta. I fiori maschili sono riuniti in piccoli glomeruli a loro volta formanti amenti eretti, lunghi 5–15 cm, emessi all'ascella delle foglie. Ogni fiore è di colore biancastro, provvisto di un perigonio suddiviso in 6 lobi e un androceo di 6-15 stami. I fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3. Ogni gruppo è avvolto da un involucro di brattee detto cupola.
Il frutto è una noce, comunemente chiamato castagna, con pericarpo di consistenza cuoiosa e di colore marrone, glabro e lucido all'esterno, tomentoso all'interno. La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro. Questa zona di colore chiaro è comunemente detta cicatrice. Sul dorso sono presenti striature più o meno marcate, in particolare nelle varietà del gruppo dei marroni. Questi elementi morfologici sono importanti ai fini del riconoscimento varietale.
Gli acheni sono racchiusi, in numero di 1-3, all'interno di un involucro spinoso, comunemente chiamato riccio, derivato dall'accrescimento della cupola. A maturità, il riccio si apre dividendosi in quattro valve. Il seme è ricco di amido.
Il castagno è una specie mesofila e moderatamente esigente in umidità. Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C, ma diventa esigente durante la stagione vegetativa. Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all'inizio dell'estate. Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi. In generale tali condizioni si verificano nel piano montano (600–1300 m) delle regioni mediterranee o in alta collina più a nord. In condizioni di umidità favorevoli può essere coltivato anche nelle stazioni fresche del Lauretum, spingendosi perciò a quote più basse. Condizioni di moderata siccità estiva determinano un rallentamento dell'attività vegetativa nel mezzo della stagione e una fruttificazione irregolare. Le nebbie persistenti e la piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio ostacolano l'impollinazione incidendo negativamente sulla fruttificazione.
Nelle prime fasi tollera un moderato ombreggiamento, fatto, questo, che favorisce una buona rinnovazione nei boschi maturi, ma in fase di produzione manifesta una maggiore eliofilia.
A fronte delle moderate esigenze climatiche, il castagno presenta notevoli esigenze pedologiche, perciò la sua distribuzione è strettamente correlata alla geologia del territorio. Sotto l'aspetto chimico e nutritivo, la specie predilige i terreni ben dotati di potassio e fosforo e di humus. Le condizioni ottimali si verificano con pH di terreni neutri o moderatamente acidi; si adatta anche ad un'acidità più spinta, mentre rifugge in genere dai suoli basici, in quanto il calcare è moderatamente tollerato solo nei climi umidi. Sotto l'aspetto granulometrico predilige i suoli sciolti o tendenzialmente sciolti, mentre non sono tollerati i suoli argillosi o, comunque, facilmente soggetti ai ristagni. In generale sono preferiti i suoli derivati da rocce vulcaniche (tufi, trachiti, andesiti, ecc.), ma vegeta bene anche nei suoli prettamente silicei derivati da graniti, arenarie quarzose, ecc., purché sufficientemente dotati di humus. I suoli calcarei sono tollerati solo nelle stazioni più settentrionali, abbastanza piovose, mentre sono mal tollerate le marne
Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell'Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall'antichità, l'interesse dell'uomo per i molteplici utilizzi. Oltre all'interesse intrinseco sotto l'aspetto ecologico, questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l'areale, per la produzione del legname e del frutto. Quest'ultimo, in passato, ha rappresentato un'importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e, nelle zone più fresche prealpine, d'alta collina, in quanto erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina di castagne.
L'importanza economica del castagno ha attualmente subito un drastico ridimensionamento: la coltura da frutto è oggi limitata alle cultivar di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l'utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell'industria dolciaria.
Si ritiene che buona parte delle superfici forestali a castagno siano derivate da una rinaturalizzazione di antiche coltivazioni abbandonate nel tempo, mentre la coltivazione si è ridotta alle stazioni più favorevoli, dove è possibile ottenere le migliori caratteristiche merceologiche del castagno, in particolare il legname
Il castagno è una pianta arborea, con chioma espansa e rotondeggiante ed altezza variabile, dai 10 ai 30 metri. il castagno è una specie eliofila, caducifoglie e latifoglie. I castagni sono alberi molto longevi, possono diventare plurimillenari. La fioritura avviene a giugno e la fruttificazione a settembre-ottobre a seconda delle varietà.
In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro. La corteccia dei rami è di colore bianco ed è cosparsa di lenticelle trasverse. Con il passare degli anni, generalmente dai quarant'anni in poi, la corteccia inizia a fessurarsi longitudinalmente a partire dal colletto.
Le foglie sono alterne, provviste di un breve picciolo e, alla base di questo, di due stipole oblunghe. La lamina è grande, lunga anche fino a 20-22 cm e larga fino a 10 cm, di forma lanceolata, acuminata all'apice e seghettata nel margine, con denti acuti e regolarmente dislocati. Le foglie giovani sono tomentose, ma a sviluppo completo sono glabre, lucide e di consistenza coriacea.
I fiori sono unisessuali, presenti sulla stessa pianta. I fiori maschili sono riuniti in piccoli glomeruli a loro volta formanti amenti eretti, lunghi 5–15 cm, emessi all'ascella delle foglie. Ogni fiore è di colore biancastro, provvisto di un perigonio suddiviso in 6 lobi e un androceo di 6-15 stami. I fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3. Ogni gruppo è avvolto da un involucro di brattee detto cupola.
Il frutto è una noce, comunemente chiamato castagna, con pericarpo di consistenza cuoiosa e di colore marrone, glabro e lucido all'esterno, tomentoso all'interno. La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro. Questa zona di colore chiaro è comunemente detta cicatrice. Sul dorso sono presenti striature più o meno marcate, in particolare nelle varietà del gruppo dei marroni. Questi elementi morfologici sono importanti ai fini del riconoscimento varietale.
Gli acheni sono racchiusi, in numero di 1-3, all'interno di un involucro spinoso, comunemente chiamato riccio, derivato dall'accrescimento della cupola. A maturità, il riccio si apre dividendosi in quattro valve. Il seme è ricco di amido.
Il castagno è una specie mesofila e moderatamente esigente in umidità. Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C, ma diventa esigente durante la stagione vegetativa. Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all'inizio dell'estate. Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi. In generale tali condizioni si verificano nel piano montano (600–1300 m) delle regioni mediterranee o in alta collina più a nord. In condizioni di umidità favorevoli può essere coltivato anche nelle stazioni fresche del Lauretum, spingendosi perciò a quote più basse. Condizioni di moderata siccità estiva determinano un rallentamento dell'attività vegetativa nel mezzo della stagione e una fruttificazione irregolare. Le nebbie persistenti e la piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio ostacolano l'impollinazione incidendo negativamente sulla fruttificazione.
Nelle prime fasi tollera un moderato ombreggiamento, fatto, questo, che favorisce una buona rinnovazione nei boschi maturi, ma in fase di produzione manifesta una maggiore eliofilia.
A fronte delle moderate esigenze climatiche, il castagno presenta notevoli esigenze pedologiche, perciò la sua distribuzione è strettamente correlata alla geologia del territorio. Sotto l'aspetto chimico e nutritivo, la specie predilige i terreni ben dotati di potassio e fosforo e di humus. Le condizioni ottimali si verificano con pH di terreni neutri o moderatamente acidi; si adatta anche ad un'acidità più spinta, mentre rifugge in genere dai suoli basici, in quanto il calcare è moderatamente tollerato solo nei climi umidi. Sotto l'aspetto granulometrico predilige i suoli sciolti o tendenzialmente sciolti, mentre non sono tollerati i suoli argillosi o, comunque, facilmente soggetti ai ristagni. In generale sono preferiti i suoli derivati da rocce vulcaniche (tufi, trachiti, andesiti, ecc.), ma vegeta bene anche nei suoli prettamente silicei derivati da graniti, arenarie quarzose, ecc., purché sufficientemente dotati di humus. I suoli calcarei sono tollerati solo nelle stazioni più settentrionali, abbastanza piovose, mentre sono mal tollerate le marne
Il ciliegio (Prunus avium Linnaeus, 1755) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rose, originario dell'Europa, del Nord Africa e dell'Asia
Si tratta di un albero, caducifoglie e latifoglie, che cresce dai 15 ai 32 m di altezza. Gli alberi giovani mostrano una forte dominanza apicale con un tronco dritto e una corona conica simmetrica, che diviene arrotondata ed irregolare negli alberi più vecchi. Vive circa 100 anni ed è molto esigente per quanto riguarda la luce.
Si riconosce senza errore grazie a due o tre nettari (piccole ghiandole nettarifere rosse) situate alla base delle foglie caduche oblunghe, dentate e pubescenti al di sotto.
La corteccia è levigata porpora-marrone con prominenti lenticelle orizzontali grigio-marrone negli alberi giovani, che diventano scure più spesse e fessurate negli alberi più vecchi.
Le foglie sono alternate, ovoidali acute semplici, lunghe 7–14 cm e larghe 4–7 cm, glabre di un verde pallido o brillante nella parte superiore, che varia finemente nella parte inferiore, hanno un margine serrato e una punta acuminata, con un picciolo lungo 2–3,5 cm che porta da due a cinque piccole ghiandole rosse. Anche la punta di ogni foglia porta delle ghiandole rosse. In autunno le foglie diventano arancioni, rosa o rosse prima di cadere.
I fiori bianchi peduncolati sono disposti in corimbi di due-sei assieme, ogni fiore pendente su un peduncolo di 2–5 cm, del diametro di 2,5–3,5 cm, con cinque petali bianchi, stami gialli, ed un ovario supero; i fiori sono ermafroditi e vengono impollinati dalle api. La fioritura ha luogo all'inizio della primavera contemporaneamente alla produzione di nuove foglie, generalmente avviene ad aprile.
Il frutto è una drupa carnosa (ciliegia) di 1–2 cm di diametro (più larga in alcune selezioni coltivate), di un rosso brillante fino ad un viola scuro quando matura a inizio estate. Il frutto commestibile ha un gusto da dolce ad abbastanza astringente e amaro, a seconda delle varietà, da mangiarsi fresco; esso contiene un singolo nocciolo lungo 8–12 mm, ampio 7–10 mm e spesso 6–8 mm, il seme dentro al guscio è lungo 6–8 mm. la maturazione si ha soprattutto in giugno.
I frutti vengono mangiati da numerosi uccelli e mammiferi, che ne digeriscono la polpa e disperdono il seme nei loro escrementi. Alcuni roditori, e alcuni uccelli rompono il guscio e mangiano il seme che sta al suo interno. Tutte le parti della pianta eccetto il frutto sono tossici perché contengono glicosidi cianogenetici
L'albero essuda una resina dalle ferite nella corteccia, per mezzo della quale protegge le ferite dalle infezioni provocate dagli insetti e dai funghi
Il ciliegio si trova in Europa (dalle isole britanniche fino alla Russia, passando per Francia, penisola iberica, Italia, Germania) a sud fino in Marocco e Tunisia (nelle zone più fredde della catena montuosa dell'Atlante), a nord fino a Trondheimsfjord in Norvegia e in Svezia, Polonia, Ucraina, nel Caucaso, a nord dell'Iran, con anche una piccola popolazione nell'ovest dell'Himalaya
In Italia è presente naturalmente dalle zone altocollinari sino a quelle montuose, talvolta al confine della zona tipica delle latifoglie, presentando una buona resistenza al freddo. Assieme al Prunus cerasus esso è una delle due specie di ciliegio selvatico che sono all'origine delle varietà di ciliegio coltivato che produce tipologie di ciliegie che vanno dal Graffione bianco piemontese, al Durone nero di Vignola, la Bigareau di Conversano e la Ciliegia Ferrovia in Terra di Bari.
Naturalmente poco abbondante e disperso nella foresta, il ciliegio non è adatto come specie pioniera. Necessita, dunque, per espandersi naturalmente, di un ambiente e di un micro clima forestale stabile e continuato nel tempo. I ciliegi piantati o nati in gruppo all'interno di boschi e foreste diventano molto appetibili per i grossi erbivori (caprioli, cinghiali) e più sensibili al cancro batterico, e alla cilindrosporiosi, oltre che agli attacchi degli insetti
Il ciliegio selvatico ha costituito fonte di nutrimento per gli esseri umani per migliaia di anni. I nòccioli sono stati trovati in depositi archeologici appartenenti a insediamenti dell'età del bronzo in varie zone europee, inclusa la Britannia. Sono stati trovati macro fossili di ciliegio selvatico tra i detriti di un villaggio dell'età del bronzo iniziale e centrale, un villaggio di palafitte che si trovava nei pressi della riva meridionale del Lago di Garda, tra Desenzano del Garda e Lonato. La data è stata stimata alla prima età del bronzo IA con la datazione al radiocarbonio (circa 2077 a.C. ± 10 anni). La foresta naturale a quel tempo era poco sviluppata
Attorno al IX secolo a.C. le ciliegie venivano coltivate in Asia Minore e poco più tardi in Grecia.
Originato dal ciliegio selvatico, il ciliegio dolce è coltivato per il frutto: ciliegia, che nei secoli è stato differenziato in moltissime varietà.
La coltivazione del ciliegio dolce è diffusa in tutto il mondo, dove le condizioni climatiche la permettono, e costituisce il fornitore principale del frutto detto ciliegia. Delle altre specie simili al ciliegio dolce, solo le varietà derivate dal Prunus cerasus (amarena o ciliegia acida), costituiscono uno scomparto minoritario delle ciliegie commerciali; altre specie di prunus, come il pado (Prunus padus), sono trascurabili per la produzione frutticola.
In seguito alle ibridazioni varietali subite dalla Specie botanica, il ciliegio dolce è suddivisibile ora in due categorie:
- autofertili (che sono autosufficienti per la impollinazione, e quindi possono fruttificare anche da soli; ed eventualmente essere impollinatori per altri)
- autosterili (che non sono autosufficienti, e che quindi necessitano di un secondo individuo vegetale (clone) che li impollini. Esistono in commercio, ben noti, individui (cloni e/o varietà) di ambedue le categorie.
Alcune varietà coltivate sono sfuggite alle coltivazioni e si sono naturalizzate in altre regioni del mondo dove il clima temperato è favorevole, (sud ovest del Canada, il Giappone, la Nuova Zelanda, ed il nord est e nord ovest degli Stati Uniti d'America).
Il ciliegio è spesso coltivato come albero da fiore. A causa della dimensione dell'albero esso viene usato nei parchi e meno spesso come albero per le strade o per i giardini. La forma a doppia fioritura, Plena, è comunemente trovata, al posto della forma a fioritura singola
Due ibridi interspecifici, P. x schmittii (P. avium x P. canescens) e P. x fontenesiana (P. avium x P. mahaleb) vengono usati anche ad uso ornamentale
Il ciliegio è una buona pianta mellifera, ma la produzione di miele si ha solo in zone dove è abbondante il ciliegio selvatico o il ciliegio coltivato. La resina è aromatica e viene usata come aroma per le gomme da masticare.
L'industria farmaceutica usa il succo dei pedicelli dei frutti che ha proprietà astringente, antitossica e diuretica.
Si tratta di un albero, caducifoglie e latifoglie, che cresce dai 15 ai 32 m di altezza. Gli alberi giovani mostrano una forte dominanza apicale con un tronco dritto e una corona conica simmetrica, che diviene arrotondata ed irregolare negli alberi più vecchi. Vive circa 100 anni ed è molto esigente per quanto riguarda la luce.
Si riconosce senza errore grazie a due o tre nettari (piccole ghiandole nettarifere rosse) situate alla base delle foglie caduche oblunghe, dentate e pubescenti al di sotto.
La corteccia è levigata porpora-marrone con prominenti lenticelle orizzontali grigio-marrone negli alberi giovani, che diventano scure più spesse e fessurate negli alberi più vecchi.
Le foglie sono alternate, ovoidali acute semplici, lunghe 7–14 cm e larghe 4–7 cm, glabre di un verde pallido o brillante nella parte superiore, che varia finemente nella parte inferiore, hanno un margine serrato e una punta acuminata, con un picciolo lungo 2–3,5 cm che porta da due a cinque piccole ghiandole rosse. Anche la punta di ogni foglia porta delle ghiandole rosse. In autunno le foglie diventano arancioni, rosa o rosse prima di cadere.
I fiori bianchi peduncolati sono disposti in corimbi di due-sei assieme, ogni fiore pendente su un peduncolo di 2–5 cm, del diametro di 2,5–3,5 cm, con cinque petali bianchi, stami gialli, ed un ovario supero; i fiori sono ermafroditi e vengono impollinati dalle api. La fioritura ha luogo all'inizio della primavera contemporaneamente alla produzione di nuove foglie, generalmente avviene ad aprile.
Il frutto è una drupa carnosa (ciliegia) di 1–2 cm di diametro (più larga in alcune selezioni coltivate), di un rosso brillante fino ad un viola scuro quando matura a inizio estate. Il frutto commestibile ha un gusto da dolce ad abbastanza astringente e amaro, a seconda delle varietà, da mangiarsi fresco; esso contiene un singolo nocciolo lungo 8–12 mm, ampio 7–10 mm e spesso 6–8 mm, il seme dentro al guscio è lungo 6–8 mm. la maturazione si ha soprattutto in giugno.
I frutti vengono mangiati da numerosi uccelli e mammiferi, che ne digeriscono la polpa e disperdono il seme nei loro escrementi. Alcuni roditori, e alcuni uccelli rompono il guscio e mangiano il seme che sta al suo interno. Tutte le parti della pianta eccetto il frutto sono tossici perché contengono glicosidi cianogenetici
L'albero essuda una resina dalle ferite nella corteccia, per mezzo della quale protegge le ferite dalle infezioni provocate dagli insetti e dai funghi
Il ciliegio si trova in Europa (dalle isole britanniche fino alla Russia, passando per Francia, penisola iberica, Italia, Germania) a sud fino in Marocco e Tunisia (nelle zone più fredde della catena montuosa dell'Atlante), a nord fino a Trondheimsfjord in Norvegia e in Svezia, Polonia, Ucraina, nel Caucaso, a nord dell'Iran, con anche una piccola popolazione nell'ovest dell'Himalaya
In Italia è presente naturalmente dalle zone altocollinari sino a quelle montuose, talvolta al confine della zona tipica delle latifoglie, presentando una buona resistenza al freddo. Assieme al Prunus cerasus esso è una delle due specie di ciliegio selvatico che sono all'origine delle varietà di ciliegio coltivato che produce tipologie di ciliegie che vanno dal Graffione bianco piemontese, al Durone nero di Vignola, la Bigareau di Conversano e la Ciliegia Ferrovia in Terra di Bari.
Naturalmente poco abbondante e disperso nella foresta, il ciliegio non è adatto come specie pioniera. Necessita, dunque, per espandersi naturalmente, di un ambiente e di un micro clima forestale stabile e continuato nel tempo. I ciliegi piantati o nati in gruppo all'interno di boschi e foreste diventano molto appetibili per i grossi erbivori (caprioli, cinghiali) e più sensibili al cancro batterico, e alla cilindrosporiosi, oltre che agli attacchi degli insetti
Il ciliegio selvatico ha costituito fonte di nutrimento per gli esseri umani per migliaia di anni. I nòccioli sono stati trovati in depositi archeologici appartenenti a insediamenti dell'età del bronzo in varie zone europee, inclusa la Britannia. Sono stati trovati macro fossili di ciliegio selvatico tra i detriti di un villaggio dell'età del bronzo iniziale e centrale, un villaggio di palafitte che si trovava nei pressi della riva meridionale del Lago di Garda, tra Desenzano del Garda e Lonato. La data è stata stimata alla prima età del bronzo IA con la datazione al radiocarbonio (circa 2077 a.C. ± 10 anni). La foresta naturale a quel tempo era poco sviluppata
Attorno al IX secolo a.C. le ciliegie venivano coltivate in Asia Minore e poco più tardi in Grecia.
Originato dal ciliegio selvatico, il ciliegio dolce è coltivato per il frutto: ciliegia, che nei secoli è stato differenziato in moltissime varietà.
La coltivazione del ciliegio dolce è diffusa in tutto il mondo, dove le condizioni climatiche la permettono, e costituisce il fornitore principale del frutto detto ciliegia. Delle altre specie simili al ciliegio dolce, solo le varietà derivate dal Prunus cerasus (amarena o ciliegia acida), costituiscono uno scomparto minoritario delle ciliegie commerciali; altre specie di prunus, come il pado (Prunus padus), sono trascurabili per la produzione frutticola.
In seguito alle ibridazioni varietali subite dalla Specie botanica, il ciliegio dolce è suddivisibile ora in due categorie:
- autofertili (che sono autosufficienti per la impollinazione, e quindi possono fruttificare anche da soli; ed eventualmente essere impollinatori per altri)
- autosterili (che non sono autosufficienti, e che quindi necessitano di un secondo individuo vegetale (clone) che li impollini. Esistono in commercio, ben noti, individui (cloni e/o varietà) di ambedue le categorie.
Alcune varietà coltivate sono sfuggite alle coltivazioni e si sono naturalizzate in altre regioni del mondo dove il clima temperato è favorevole, (sud ovest del Canada, il Giappone, la Nuova Zelanda, ed il nord est e nord ovest degli Stati Uniti d'America).
Il ciliegio è spesso coltivato come albero da fiore. A causa della dimensione dell'albero esso viene usato nei parchi e meno spesso come albero per le strade o per i giardini. La forma a doppia fioritura, Plena, è comunemente trovata, al posto della forma a fioritura singola
Due ibridi interspecifici, P. x schmittii (P. avium x P. canescens) e P. x fontenesiana (P. avium x P. mahaleb) vengono usati anche ad uso ornamentale
Il ciliegio è una buona pianta mellifera, ma la produzione di miele si ha solo in zone dove è abbondante il ciliegio selvatico o il ciliegio coltivato. La resina è aromatica e viene usata come aroma per le gomme da masticare.
L'industria farmaceutica usa il succo dei pedicelli dei frutti che ha proprietà astringente, antitossica e diuretica.
Cupressus L., 1753 è un genere di piante della famiglia Cupressaceae (cipressi in senso ampio) comprendente alberi anche di notevoli dimensioni, alti fino a 50 metri, con chioma generalmente affusolata, piramidale, molto ramificata e rametti cilindrici con numerosissime foglie.
I cipressi sono alberi sempreverdi con foglie ridotte a squame, strettamente addossate le une alle altre o divaricate all'apice, secondo le specie. In alcune specie, le foglie schiacciate rilasciano un caratteristico odore. Il colore delle foglie è molto scuro nel cipresso diffuso in Italia (Cupressus sempervirens), ma in altre specie è più chiaro (Cupressus macrocarpa) e persino verdazzurro (Cupressus arizonica).
I coni megasporangiati, detti galbuli, sono legnosi, tondeggianti, divisi in un certo numero di squame che si separano a maturità.
Il genere è diffuso in tutte le regioni a clima caldo o temperato-caldo, anche arido, dell'emisfero settentrionale: America settentrionale e centrale, Europa meridionale, Africa settentrionale, Asia dal Vicino Oriente fino alla Cina e al Vietnam. Più di metà delle specie sono originarie del ristretto triangolo formato da California, Arizona e Messico. Esistono cipressi anche nel cuore del deserto del Sahara.
Alcune specie di cipressi hanno avuto successo a scopo ornamentale e sono state piantate nelle regioni a clima caldo o temperato di quasi tutto il mondo. Tra questi troviamo il cipresso toscano (C. sempervirens), il cipresso dell'Arizona (C. arizonica), e le amate cultivar Goldcrest e willma del cipresso di Monterey (C. macrocarpa), specie endemica di una piccolissima parte della California, la baia di Monterey, e classificata "in pericolo di estinzione" nel suo areale (sebbene sia ampiamente diffusa a scopo ornamentale).
È l'albero tipico dei cimiteri perché le sue radici, scendendo a fuso nella terra in profondità invece che svilupparsi in orizzontale (come per le querce e gli altri alberi a chioma larga), non danno luogo a interferenze con le sepolture circostanti. In area mediterranea, da sempre, il cipresso è una pianta usata per formare barriere vegetali frangivento.
Associato al culto dei morti fin dall'antichità, il cipresso è simbolo di vita eterna in alcune civiltà orientali, specialmente in Persia, nell'area della religione di Zoroastro (620 a.C.).
Per i Greci – muovendo dal mito di Ciparisso, un giovane che per errore uccise il suo cervo molto amato e che, per liberarlo dal dolore, Apollo, movendosi a pietà, trasformò in un cipresso – l'albero era legato al lutto (cioè al dolore che si prova a causa della morte di qualcuno particolarmente amato). I Romani e gli Etruschi riprenderanno l'eredità greca del cipresso come albero sacro, legato al lutto e al funerale, oltre che a motivi ornamentali.
In ambito cristiano, il cipresso – insieme alla palma, al cedro e all'ulivo – è ritenuto uno dei quattro legni con cui furono costruite la croci .
Tra i cipressi di particolare rilevanza, in qualche caso anche individuale, nell'ambito del paesaggio italiano, si ricordano il cosiddetto Cipresso di Michelangelo, conservato forse fin dalla costruzione della Certosa delle Terme nel chiostro dell'edificio, situato di fronte alla Stazione Termini in Roma (oggi inglobato nel Museo Nazionale Romano); il "Cipresso di San Francesco" a Verucchio (RN), monumento vegetale di oltre 800 anni situato nel chiostro di un monastero francescano; la cipresseta di Fonte greca nel Parco Regionale del Matese (CE). Anche il viale dei Cipressi immortalato dal poeta Giosuè Carducci nell'opera Davanti San Guido, che, con uno sviluppo rettilineo di quasi 5 chilometri collega Bolgheri all'oratorio di San Guido, è soggetto a tutela nell'ambito del patrimonio storico nazionale.
I cipressi sono alberi sempreverdi con foglie ridotte a squame, strettamente addossate le une alle altre o divaricate all'apice, secondo le specie. In alcune specie, le foglie schiacciate rilasciano un caratteristico odore. Il colore delle foglie è molto scuro nel cipresso diffuso in Italia (Cupressus sempervirens), ma in altre specie è più chiaro (Cupressus macrocarpa) e persino verdazzurro (Cupressus arizonica).
I coni megasporangiati, detti galbuli, sono legnosi, tondeggianti, divisi in un certo numero di squame che si separano a maturità.
Il genere è diffuso in tutte le regioni a clima caldo o temperato-caldo, anche arido, dell'emisfero settentrionale: America settentrionale e centrale, Europa meridionale, Africa settentrionale, Asia dal Vicino Oriente fino alla Cina e al Vietnam. Più di metà delle specie sono originarie del ristretto triangolo formato da California, Arizona e Messico. Esistono cipressi anche nel cuore del deserto del Sahara.
Alcune specie di cipressi hanno avuto successo a scopo ornamentale e sono state piantate nelle regioni a clima caldo o temperato di quasi tutto il mondo. Tra questi troviamo il cipresso toscano (C. sempervirens), il cipresso dell'Arizona (C. arizonica), e le amate cultivar Goldcrest e willma del cipresso di Monterey (C. macrocarpa), specie endemica di una piccolissima parte della California, la baia di Monterey, e classificata "in pericolo di estinzione" nel suo areale (sebbene sia ampiamente diffusa a scopo ornamentale).
È l'albero tipico dei cimiteri perché le sue radici, scendendo a fuso nella terra in profondità invece che svilupparsi in orizzontale (come per le querce e gli altri alberi a chioma larga), non danno luogo a interferenze con le sepolture circostanti. In area mediterranea, da sempre, il cipresso è una pianta usata per formare barriere vegetali frangivento.
Associato al culto dei morti fin dall'antichità, il cipresso è simbolo di vita eterna in alcune civiltà orientali, specialmente in Persia, nell'area della religione di Zoroastro (620 a.C.).
Per i Greci – muovendo dal mito di Ciparisso, un giovane che per errore uccise il suo cervo molto amato e che, per liberarlo dal dolore, Apollo, movendosi a pietà, trasformò in un cipresso – l'albero era legato al lutto (cioè al dolore che si prova a causa della morte di qualcuno particolarmente amato). I Romani e gli Etruschi riprenderanno l'eredità greca del cipresso come albero sacro, legato al lutto e al funerale, oltre che a motivi ornamentali.
In ambito cristiano, il cipresso – insieme alla palma, al cedro e all'ulivo – è ritenuto uno dei quattro legni con cui furono costruite la croci .
Tra i cipressi di particolare rilevanza, in qualche caso anche individuale, nell'ambito del paesaggio italiano, si ricordano il cosiddetto Cipresso di Michelangelo, conservato forse fin dalla costruzione della Certosa delle Terme nel chiostro dell'edificio, situato di fronte alla Stazione Termini in Roma (oggi inglobato nel Museo Nazionale Romano); il "Cipresso di San Francesco" a Verucchio (RN), monumento vegetale di oltre 800 anni situato nel chiostro di un monastero francescano; la cipresseta di Fonte greca nel Parco Regionale del Matese (CE). Anche il viale dei Cipressi immortalato dal poeta Giosuè Carducci nell'opera Davanti San Guido, che, con uno sviluppo rettilineo di quasi 5 chilometri collega Bolgheri all'oratorio di San Guido, è soggetto a tutela nell'ambito del patrimonio storico nazionale.
Il corniolo (Cornus mas L., 1753) è un arbusto appartenente alla famiglia delle Cornacee
I cornioli sono piante piccole, caducifoglie e latifoglie, alte fino a 6 metri e altrettanto estese in larghezza. I rami sono brevi, di colore rosso-bruno; la corteccia è screpolata. Sono piante longeve, possono diventare plurisecolari e hanno una crescita molto lenta.
Le foglie sono semplici, opposte, con un picciolo breve (da 5 a 10 millimetri) e peloso; la forma è ovata o arrotondata, integra e un po' ondulata ai margini, acuminata all'apice; sono ricoperte parzialmente da peluria su entrambe le pagine; sono di colore verde, più chiaro nella parte inferiore; presentano una nervatura al centro e 3 o 4 paia di nervature secondarie.
I fiori odorosi sono ermafroditi (cioè hanno organi per la riproduzione sia maschili sia femminili), a forma di ombrelle semplici e brevi, circondate alla base da un involucro di 4 brattee (foglie modificate che proteggono il fiore), di colore verdognolo sfumato di rosso, che si sviluppano prima della fogliazione. La corolla è a 4 petali acuti, glabri (privi di pelo), di colore giallo-dorato. Fiorisce da febbraio ad aprile.
Il frutto del corniolo è una drupa (frutto carnoso) edule (commestibile), di sapore acidulo, a forma di oliva o di ciliegia oblunga, contenente un unico seme osseo; ha un colore rosso-scarlatto, rosso corallo o anche giallo. I frutti maturano ad agosto.
Il legno è duro e compatto, con alta resistenza, molto usato nei secoli passati.
Il corniolo è specie propria dell'Europa centro-orientale, diffuso sino al Caucaso e all'Asia minore; in Italia si trova in tutta la penisola, ma è più frequente nelle regioni settentrionali.
È una specie che predilige i terreni calcarei; vive in piccoli gruppi nelle radure dei boschi di latifoglie, tra gli arbusti e nelle siepi degli altipiani, sino a circa 1500 metri di altitudine.
Il corniolo è coltivato, in giardini e orti, sia come pianta ornamentale che per i suoi frutti commestibili. Ama terreni freschi e ombreggiati, calcarei, per cui è facile trovarlo nei boschi d'alta collina o di montagna. Esistono diverse varietà con frutti rossi o gialli, più o meno grandi. È un arbusto rustico, non teme le gelate tardive e resiste agli attacchi di molte malattie.
I piccoli frutti rossi vengono lavorati per la produzione di succhi di frutta e di confetture, ottime come accompagnamento al bollito, e per aromatizzare alcuni tipi di alcolici, come ad esempio la grappa. Di nicchia ma pregiata la distillazione diretta dai frutti fermentati. I prezzi di questi prodotti sono relativamente alti a causa della scarsa produzione e del piccolo contenuto di alcool.
È preferibile gustare i frutti giunti a piena maturazione, che si staccano dallo stelo con un leggero tocco di mano o appena caduti.
Il legno del corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne (alburno), mentre nella corteccia è rossastro, con anelli poco distinti.
Tutta la pianta ha proprietà tintorie (in giallo). Il corniolo è un'erba officinale.
I cornioli sono piante piccole, caducifoglie e latifoglie, alte fino a 6 metri e altrettanto estese in larghezza. I rami sono brevi, di colore rosso-bruno; la corteccia è screpolata. Sono piante longeve, possono diventare plurisecolari e hanno una crescita molto lenta.
Le foglie sono semplici, opposte, con un picciolo breve (da 5 a 10 millimetri) e peloso; la forma è ovata o arrotondata, integra e un po' ondulata ai margini, acuminata all'apice; sono ricoperte parzialmente da peluria su entrambe le pagine; sono di colore verde, più chiaro nella parte inferiore; presentano una nervatura al centro e 3 o 4 paia di nervature secondarie.
I fiori odorosi sono ermafroditi (cioè hanno organi per la riproduzione sia maschili sia femminili), a forma di ombrelle semplici e brevi, circondate alla base da un involucro di 4 brattee (foglie modificate che proteggono il fiore), di colore verdognolo sfumato di rosso, che si sviluppano prima della fogliazione. La corolla è a 4 petali acuti, glabri (privi di pelo), di colore giallo-dorato. Fiorisce da febbraio ad aprile.
Il frutto del corniolo è una drupa (frutto carnoso) edule (commestibile), di sapore acidulo, a forma di oliva o di ciliegia oblunga, contenente un unico seme osseo; ha un colore rosso-scarlatto, rosso corallo o anche giallo. I frutti maturano ad agosto.
Il legno è duro e compatto, con alta resistenza, molto usato nei secoli passati.
Il corniolo è specie propria dell'Europa centro-orientale, diffuso sino al Caucaso e all'Asia minore; in Italia si trova in tutta la penisola, ma è più frequente nelle regioni settentrionali.
È una specie che predilige i terreni calcarei; vive in piccoli gruppi nelle radure dei boschi di latifoglie, tra gli arbusti e nelle siepi degli altipiani, sino a circa 1500 metri di altitudine.
Il corniolo è coltivato, in giardini e orti, sia come pianta ornamentale che per i suoi frutti commestibili. Ama terreni freschi e ombreggiati, calcarei, per cui è facile trovarlo nei boschi d'alta collina o di montagna. Esistono diverse varietà con frutti rossi o gialli, più o meno grandi. È un arbusto rustico, non teme le gelate tardive e resiste agli attacchi di molte malattie.
I piccoli frutti rossi vengono lavorati per la produzione di succhi di frutta e di confetture, ottime come accompagnamento al bollito, e per aromatizzare alcuni tipi di alcolici, come ad esempio la grappa. Di nicchia ma pregiata la distillazione diretta dai frutti fermentati. I prezzi di questi prodotti sono relativamente alti a causa della scarsa produzione e del piccolo contenuto di alcool.
È preferibile gustare i frutti giunti a piena maturazione, che si staccano dallo stelo con un leggero tocco di mano o appena caduti.
Il legno del corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne (alburno), mentre nella corteccia è rossastro, con anelli poco distinti.
Tutta la pianta ha proprietà tintorie (in giallo). Il corniolo è un'erba officinale.
Il faggio (Fagus sylvatica L., 1753), detto anche faggio comune, faggio selvatico o faggio occidentale, è un albero appartenente alla famiglia Fagacee.
La specie è caducifoglia e latifoglia, con crescita molto lenta e molto longeva, arrivando a essere plurisecolare. È un albero di grandi dimensioni i 30–40 m di altezza, con fusto diritto poco rastremato e presenta una corteccia liscia e sottile di color grigio-cenerina, con striature orizzontali e spesso con macchie biancastre per presenza di licheni. Ha un legno molto duro e compatto.
Per la sua corteccia liscia e ben levigata il faggio è stato associato alla scrittura. I libri con pagine di pergamena erano protetti da tavolette di faggio e il legno ricavato da questo albero fu utilizzato per la realizzazione di scrittoi, soprattutto in età medievale. Nella lingua tedesca la parola che indica il faggio Buche è richiamata nella parola libro Buch e in Buchstaben, parola che si riferisce alle lettere dell'alfabeto
Presenta fogliame denso e foglie ovali, più chiare nella pagina inferiore. Le foglie sono brevemente picciolate (1–2 cm) e sono disposte sul ramo in modo alterno (non-opposte), lucide su entrambe le facce, con margine intero ondulato, ciliato da giovani. In autunno assumono una caratteristica colorazione che va dal giallo all'arancio o rosso-bruna. Ha una chioma massiccia, molto ramificata e con fitto fogliame, facilmente riconoscibile a distanza perché molto arrotondata e larga, con rami della porzione apicale eretti verticali.
È una pianta monoica che produce fiori maschili e femminili sulla stessa pianta ma in posizioni diverse. I fiori maschili sono riuniti in amenti tondi e penduli, lungamente picciolati; quelli femminili sono accoppiati in un involucro detto cupola e hanno ovario triloculare. La fioritura avviene generalmente nel mese di maggio.
I frutti, chiamati faggiole, sono grosse noci, trigoni, rossicci, contenuti in cupole deiscenti per 4 valve, dai quali si ricavava un olio che è un surrogato di quello d'oliva. Inoltre, le faggiole tostate e macinate sono un surrogato del caffè. La germinazione avviene in aprile, dopo un periodo di riposo di almeno 6 mesi
L'areale naturale di distribuzione della specie va dalla Svezia meridionale (con popolazioni più rade in Norvegia) a nord fino all'Italia meridionale, alla Sicilia e alla Penisola iberica a sud, mentre a est si estende fino alla Turchia nord-occidentale dove si sovrappone con quello del Fagus orientalis.
In Italia il genere è rappresentato dall'unica specie Fagus sylvatica L. diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, sui Nebrodi, sulle Madonie e sull'Etna, dove forma boschi puri (faggete) o misti (di solito con Abies alba Mill. o Picea abies Karst.), nelle stazioni oltre almeno gli 800-900 m sia sulle Alpi che sugli Appennini (le popolazioni di più bassa quota sono localizzate in entrambi i settori). È invece assente allo stato naturale in Sardegna, regione in cui è stato introdotto per scopi silvicolturali e in cui la vegetazione climatica dell'orizzonte montano (1.200–1.800 m) è rappresentata da consorzi di agrifoglio e taxus.
Sui rilievi appenninici il faggio rappresenta la specie arborea maggiormente diffusa, nell'orizzonte montano (900–1.000 m), formando spesso boschi puri e raggiungendo il limite superiore della vegetazione arborea (1.700 m lungo la dorsale ligure e tosco-emiliana, fino a 2.000 m sul Pollino e sui rilievi della Lucania).
Per quanto riguarda le Alpi, l'optimum per il faggio si ritrova nella fascia montana del distretto esalpico, dove forma estesi popolamenti puri. A quote superiori o inferiori, i popolamenti subiscono l'ingresso di altre specie, rispettivamente più resistenti alle gelate (come l'abete) e più resistenti alla mancanza d'acqua (come il carpino nero).
Le regioni italiane con maggiore presenza di faggete sono: 1) l’Abruzzo (122.405 ha); 2) il Piemonte (115.500 ha); 3) l’Emilia-Romagna (100.862 ha). Rispetto a queste tre regioni, la quantità di copertura boschiva a faggio decresce rapidamente per i restanti territori regionali. N.B.: I dati riportati tra parentesi si riferiscono al censimento dell’anno 2005.
Localmente, quando le condizioni climatiche lo consentono, il faggio lo si può trovare molto più in basso: sul Gargano, nei pressi della Foresta Umbra, e precisamente nel comune di Ischitella sono presenti faggete depresse a 300 metri s.l.m.. Particolarissima la faggeta relitta della valle del Carfalo, presso Montaione, dove si trovano esemplari a un'altezza che scende fino a 180 m s.l.m.. Le aree d’Italia dove il faggio si trova alle quote più basse sono quelle della Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico nei pressi di Bologna, in Emilia-Romagna, dove i faggi arrivano fino a un'altitudine di 155 metri s.l.m., e di Rocchetta Tanaro (AT), in Piemonte, dove scendono fino a 110 mt s.l.m..
Il faggio è tra le specie forestali più presenti nei boschi italiani, con un'area complessiva, tra fustaie e cedui, che nel 2005, al Secondo inventario forestale nazionale, risultava di oltre un milione di ettari.
Tra le faggete più celebri c'è quella di Monte Cimino nel comune di Soriano nel Cimino, e quella del "Gran bosco da Reme" del Cansiglio, uno dei primi esempi di gestione del bosco, utilizzato per fare remi dalla Serenissima Repubblica di Venezia almeno dal 1548.
Altre faggete si trovano nel Parco delle Foreste Casentinesi e degna di nota è la faggeta della Foresta demaniale della Barbottina, tra il Colle del Melogno e Bardineto in Liguria, attraversata dall'Alta Via dei Monti Liguri, annoverata tra le faggete più belle d'Italia.
Antiche faggete patrimonio UNESCO
In Italia sono presenti diverse antiche faggete considerate dal 2012 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Le faggete sono distribuite tra l'Emilia-Romagna e la Basilicata: la foresta di Cozzo Ferriero nel Parco Nazionale del Pollino, la foresta umbra nel Parco Nazionale del Gargano, la foresta vetusta di Monte Cimino in Provincia di Viterbo, la foresta di Monte Raschio all’interno del Parco Naturale Regionale di Bracciano - Martignano, le faggete di Valle Cervara, Selva Moricento, Coppo del Morto, Coppo del Principe e Val Fondillo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e la Riserva Naturale Sasso Fratino nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Le faggete italiane si uniscono alle faggete dei Carpazi, riconosciute come patrimonio dell'umanità nel 2007.
In questo contesto la specificità delle faggete italiane riguarda la presenza dei faggi più antichi (400-500 anni), rispetto alle faggete distribuite sul territorio europeo un'estensione più contenuta; i faggi del territorio nazionale sono tra i più alti d'Europa (45-50m), interessante inoltre la maggior biodiversità arborea presente che distingue le faggete italiane dalle faggete conservate nel resto dei territori europei
La specie è caducifoglia e latifoglia, con crescita molto lenta e molto longeva, arrivando a essere plurisecolare. È un albero di grandi dimensioni i 30–40 m di altezza, con fusto diritto poco rastremato e presenta una corteccia liscia e sottile di color grigio-cenerina, con striature orizzontali e spesso con macchie biancastre per presenza di licheni. Ha un legno molto duro e compatto.
Per la sua corteccia liscia e ben levigata il faggio è stato associato alla scrittura. I libri con pagine di pergamena erano protetti da tavolette di faggio e il legno ricavato da questo albero fu utilizzato per la realizzazione di scrittoi, soprattutto in età medievale. Nella lingua tedesca la parola che indica il faggio Buche è richiamata nella parola libro Buch e in Buchstaben, parola che si riferisce alle lettere dell'alfabeto
Presenta fogliame denso e foglie ovali, più chiare nella pagina inferiore. Le foglie sono brevemente picciolate (1–2 cm) e sono disposte sul ramo in modo alterno (non-opposte), lucide su entrambe le facce, con margine intero ondulato, ciliato da giovani. In autunno assumono una caratteristica colorazione che va dal giallo all'arancio o rosso-bruna. Ha una chioma massiccia, molto ramificata e con fitto fogliame, facilmente riconoscibile a distanza perché molto arrotondata e larga, con rami della porzione apicale eretti verticali.
È una pianta monoica che produce fiori maschili e femminili sulla stessa pianta ma in posizioni diverse. I fiori maschili sono riuniti in amenti tondi e penduli, lungamente picciolati; quelli femminili sono accoppiati in un involucro detto cupola e hanno ovario triloculare. La fioritura avviene generalmente nel mese di maggio.
I frutti, chiamati faggiole, sono grosse noci, trigoni, rossicci, contenuti in cupole deiscenti per 4 valve, dai quali si ricavava un olio che è un surrogato di quello d'oliva. Inoltre, le faggiole tostate e macinate sono un surrogato del caffè. La germinazione avviene in aprile, dopo un periodo di riposo di almeno 6 mesi
L'areale naturale di distribuzione della specie va dalla Svezia meridionale (con popolazioni più rade in Norvegia) a nord fino all'Italia meridionale, alla Sicilia e alla Penisola iberica a sud, mentre a est si estende fino alla Turchia nord-occidentale dove si sovrappone con quello del Fagus orientalis.
In Italia il genere è rappresentato dall'unica specie Fagus sylvatica L. diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, sui Nebrodi, sulle Madonie e sull'Etna, dove forma boschi puri (faggete) o misti (di solito con Abies alba Mill. o Picea abies Karst.), nelle stazioni oltre almeno gli 800-900 m sia sulle Alpi che sugli Appennini (le popolazioni di più bassa quota sono localizzate in entrambi i settori). È invece assente allo stato naturale in Sardegna, regione in cui è stato introdotto per scopi silvicolturali e in cui la vegetazione climatica dell'orizzonte montano (1.200–1.800 m) è rappresentata da consorzi di agrifoglio e taxus.
Sui rilievi appenninici il faggio rappresenta la specie arborea maggiormente diffusa, nell'orizzonte montano (900–1.000 m), formando spesso boschi puri e raggiungendo il limite superiore della vegetazione arborea (1.700 m lungo la dorsale ligure e tosco-emiliana, fino a 2.000 m sul Pollino e sui rilievi della Lucania).
Per quanto riguarda le Alpi, l'optimum per il faggio si ritrova nella fascia montana del distretto esalpico, dove forma estesi popolamenti puri. A quote superiori o inferiori, i popolamenti subiscono l'ingresso di altre specie, rispettivamente più resistenti alle gelate (come l'abete) e più resistenti alla mancanza d'acqua (come il carpino nero).
Le regioni italiane con maggiore presenza di faggete sono: 1) l’Abruzzo (122.405 ha); 2) il Piemonte (115.500 ha); 3) l’Emilia-Romagna (100.862 ha). Rispetto a queste tre regioni, la quantità di copertura boschiva a faggio decresce rapidamente per i restanti territori regionali. N.B.: I dati riportati tra parentesi si riferiscono al censimento dell’anno 2005.
Localmente, quando le condizioni climatiche lo consentono, il faggio lo si può trovare molto più in basso: sul Gargano, nei pressi della Foresta Umbra, e precisamente nel comune di Ischitella sono presenti faggete depresse a 300 metri s.l.m.. Particolarissima la faggeta relitta della valle del Carfalo, presso Montaione, dove si trovano esemplari a un'altezza che scende fino a 180 m s.l.m.. Le aree d’Italia dove il faggio si trova alle quote più basse sono quelle della Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico nei pressi di Bologna, in Emilia-Romagna, dove i faggi arrivano fino a un'altitudine di 155 metri s.l.m., e di Rocchetta Tanaro (AT), in Piemonte, dove scendono fino a 110 mt s.l.m..
Il faggio è tra le specie forestali più presenti nei boschi italiani, con un'area complessiva, tra fustaie e cedui, che nel 2005, al Secondo inventario forestale nazionale, risultava di oltre un milione di ettari.
Tra le faggete più celebri c'è quella di Monte Cimino nel comune di Soriano nel Cimino, e quella del "Gran bosco da Reme" del Cansiglio, uno dei primi esempi di gestione del bosco, utilizzato per fare remi dalla Serenissima Repubblica di Venezia almeno dal 1548.
Altre faggete si trovano nel Parco delle Foreste Casentinesi e degna di nota è la faggeta della Foresta demaniale della Barbottina, tra il Colle del Melogno e Bardineto in Liguria, attraversata dall'Alta Via dei Monti Liguri, annoverata tra le faggete più belle d'Italia.
Antiche faggete patrimonio UNESCO
In Italia sono presenti diverse antiche faggete considerate dal 2012 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Le faggete sono distribuite tra l'Emilia-Romagna e la Basilicata: la foresta di Cozzo Ferriero nel Parco Nazionale del Pollino, la foresta umbra nel Parco Nazionale del Gargano, la foresta vetusta di Monte Cimino in Provincia di Viterbo, la foresta di Monte Raschio all’interno del Parco Naturale Regionale di Bracciano - Martignano, le faggete di Valle Cervara, Selva Moricento, Coppo del Morto, Coppo del Principe e Val Fondillo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e la Riserva Naturale Sasso Fratino nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Le faggete italiane si uniscono alle faggete dei Carpazi, riconosciute come patrimonio dell'umanità nel 2007.
In questo contesto la specificità delle faggete italiane riguarda la presenza dei faggi più antichi (400-500 anni), rispetto alle faggete distribuite sul territorio europeo un'estensione più contenuta; i faggi del territorio nazionale sono tra i più alti d'Europa (45-50m), interessante inoltre la maggior biodiversità arborea presente che distingue le faggete italiane dalle faggete conservate nel resto dei territori europei
Il fico comune (Ficus carica L., 1753) è un albero da frutto dei climi subtropicali temperati appartenente alla famiglia delle Moraceae, del quale rappresenta la specie più nordica; produce il frutto (più propriamente l'infruttescenza) detto fico
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera originario e comune delle regioni delle aree meridionali caucasiche, e del Bassopiano turanico meridionale.
Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente, in seguito in Sudafrica, per i contatti con l'Oriente si diffuse in Cina e in Giappone; infine giunse in Australia.
Il fico è una pianta xerofila ed eliofila, è longevo e può diventare secolare, anche se è di legno debole e può essere soggetto ad infezioni fatali; è caducifoglia e latifoglia. È un albero dal fusto corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6–10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame verdi, o brunastre. Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto è in realtà una infruttescenza di medie dimensioni, carnosa, piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi; i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza (che diventa perciò un'infruttescenza), sono numerosissimi piccoli acheni. La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte edibile.
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera originario e comune delle regioni delle aree meridionali caucasiche, e del Bassopiano turanico meridionale.
Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente, in seguito in Sudafrica, per i contatti con l'Oriente si diffuse in Cina e in Giappone; infine giunse in Australia.
Il fico è una pianta xerofila ed eliofila, è longevo e può diventare secolare, anche se è di legno debole e può essere soggetto ad infezioni fatali; è caducifoglia e latifoglia. È un albero dal fusto corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6–10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame verdi, o brunastre. Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto è in realtà una infruttescenza di medie dimensioni, carnosa, piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi; i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza (che diventa perciò un'infruttescenza), sono numerosissimi piccoli acheni. La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte edibile.
Fraxinus L., 1753 è un genere di piante spermatofite, dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Oleaceae che comprende oltre 60 specie di alberi o arbusti a foglie decidue, originarie delle zone temperate dell'emisfero settentrionale. Fraxinus è anche l'unico genere della tribù Fraxininae (Vent.) Wallander & V. Albert, 2000
Il portamento delle specie di questo genere è arboreo (raramente arbustivo). Alcune specie sono dioiche, androdioiche, poligame o normalmente ermafrodite. La forma biologica è fanerofita arborea (P scap), ossia sono piante legnose con portamento arboreo e gemme poste ad altezze dal suolo superiori ai due metri (fino a 30 - 40 metri della specie Fraxinus excelsior); ma sono presenti anche fanerofite cespugliose (P caesp) che sono piante perenni e legnose, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo maggiore di 30 cm con portamento cespuglioso.
Le foglie lungo il caule sono disposte in modo opposto, sono decidue (raramente sempreverdi), sono picciolate e prive di stipole. La lamina è a forma pennata (imparipennata fino a 15 segmenti o meno spesso trifogliata), raramente è semplice.
Le infiorescenze sono di tipo agglomerato o panicolato, sia ascellare che terminale. Sono presenti delle brattee da lineari a lanceolate.
I fiori sono ermafroditi (o anche unisessuali), attinomorfi e tetraciclici (ossia formati da 4 verticilli: calice– corolla – androceo – gineceo) e tetrameri (ogni verticillo ha 4 elementi). In questi fiori a volte il calice o la corolla può essere mancante (sono allora fiori "nudi").
Formula fiorale. Per la famiglia di queste piante viene indicata la seguente formula fiorale:
* K (4), [C (4), A 2], G (2), supero, samara.
Il calice è assente oppure ha una forma campanulata e termina con più o meno 4 lobi.
La corolla è assente oppure ha 2 - 4 petali quasi liberi (saldati solamente alla base). Il colore dei petali in genere è bianco o giallastro.
L'androceo è formato da 2 stami (raramente 4) ipogini (adnati all'ovario). I filamenti sono brevi e sporgono all'antesi. Le antere sono formate da due teche con deiscenza longitudinale. Il polline è tricolpato.
Il gineceo è bicarpellato (sincarpico - formato dall'unione di due carpelli) ed ha un ovario supero, biloculare con due ovuli penduli per loculo. Lo stilo è unico, breve e termina con due stigmi.
Il frutto è una samara appiattita con un'unica ala terminale (allungata nella direzione apicale) e contenente un seme a forma ovale-oblunga. L'endosperma è carnoso
Impollinazione: l'impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione entomogama) oppure tramite il vento (impollinazione anemogama).
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l'impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo (dopo aver eventualmente percorso alcuni metri a causa del vento - dispersione anemocora) a terra sono dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).
Le specie di questo gruppo hanno generalmente una crescita rapida, riuscendo a sopravvivere in condizioni ambientali difficili come zone inquinate, con salsedine o forti venti, resistendo bene anche alle basse o elevate temperature. In genere il loro habitat si trova nelle regioni temperate e subtropicali dell'emisfero settentrionale, ma anche tropicali come il Messico, Cuba, Giava e le Filippine. Le specie più diffuse in Italia sono il Fraxinus excelsior conosciuto col nome comune di Frassino maggiore; il Fraxinus ornus noto come Orno o Orniello, utilizzato per la produzione della manna e chiamato comunemente anche Frassino da manna o Albero della manna; Fraxinus angustifolia noto col nome di Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa Bieb. nella "Flora d'Italia").
Il portamento delle specie di questo genere è arboreo (raramente arbustivo). Alcune specie sono dioiche, androdioiche, poligame o normalmente ermafrodite. La forma biologica è fanerofita arborea (P scap), ossia sono piante legnose con portamento arboreo e gemme poste ad altezze dal suolo superiori ai due metri (fino a 30 - 40 metri della specie Fraxinus excelsior); ma sono presenti anche fanerofite cespugliose (P caesp) che sono piante perenni e legnose, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo maggiore di 30 cm con portamento cespuglioso.
Le foglie lungo il caule sono disposte in modo opposto, sono decidue (raramente sempreverdi), sono picciolate e prive di stipole. La lamina è a forma pennata (imparipennata fino a 15 segmenti o meno spesso trifogliata), raramente è semplice.
Le infiorescenze sono di tipo agglomerato o panicolato, sia ascellare che terminale. Sono presenti delle brattee da lineari a lanceolate.
I fiori sono ermafroditi (o anche unisessuali), attinomorfi e tetraciclici (ossia formati da 4 verticilli: calice– corolla – androceo – gineceo) e tetrameri (ogni verticillo ha 4 elementi). In questi fiori a volte il calice o la corolla può essere mancante (sono allora fiori "nudi").
Formula fiorale. Per la famiglia di queste piante viene indicata la seguente formula fiorale:
* K (4), [C (4), A 2], G (2), supero, samara.
Il calice è assente oppure ha una forma campanulata e termina con più o meno 4 lobi.
La corolla è assente oppure ha 2 - 4 petali quasi liberi (saldati solamente alla base). Il colore dei petali in genere è bianco o giallastro.
L'androceo è formato da 2 stami (raramente 4) ipogini (adnati all'ovario). I filamenti sono brevi e sporgono all'antesi. Le antere sono formate da due teche con deiscenza longitudinale. Il polline è tricolpato.
Il gineceo è bicarpellato (sincarpico - formato dall'unione di due carpelli) ed ha un ovario supero, biloculare con due ovuli penduli per loculo. Lo stilo è unico, breve e termina con due stigmi.
Il frutto è una samara appiattita con un'unica ala terminale (allungata nella direzione apicale) e contenente un seme a forma ovale-oblunga. L'endosperma è carnoso
Impollinazione: l'impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione entomogama) oppure tramite il vento (impollinazione anemogama).
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l'impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo (dopo aver eventualmente percorso alcuni metri a causa del vento - dispersione anemocora) a terra sono dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).
Le specie di questo gruppo hanno generalmente una crescita rapida, riuscendo a sopravvivere in condizioni ambientali difficili come zone inquinate, con salsedine o forti venti, resistendo bene anche alle basse o elevate temperature. In genere il loro habitat si trova nelle regioni temperate e subtropicali dell'emisfero settentrionale, ma anche tropicali come il Messico, Cuba, Giava e le Filippine. Le specie più diffuse in Italia sono il Fraxinus excelsior conosciuto col nome comune di Frassino maggiore; il Fraxinus ornus noto come Orno o Orniello, utilizzato per la produzione della manna e chiamato comunemente anche Frassino da manna o Albero della manna; Fraxinus angustifolia noto col nome di Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa Bieb. nella "Flora d'Italia").
L'ippocastano o castagno d'India (Aesculus hippocastanum L., 1753) è un albero appartenente alla famiglia Sapindaceae, diffuso in Europa orientale.
È molto usato come ornamentale nei viali o come pianta isolata. Crea una zona d'ombra molto grande e fitta.
L'ippocastano può arrivare a 25-30 metri di altezza; presenta un portamento arboreo elegante ed imponente. La chioma è espansa, raggiunge anche gli 8-10 metri di diametro restando molto compatta. L'aspetto è tondeggiante o piramidale, a causa dei rami inferiori che hanno andamento orizzontale.
I rami sono lenticellati, presentano grandi gemme opposte, rossastre, ed una terminale di notevoli dimensioni, ricoperte da una sostanza collosa. La corteccia è bruna e liscia e si desquama con l'età.
Le foglie dell'ippocastano sono decidue, palmato-settate, con inserzione opposta, mediante un picciolo di 10–15 cm, su rametti bruni o verdastri e leggermente pubescenti. Ciascuna foglia, che può arrivare a oltre 20 cm di lunghezza, è costituita da 5-7 lamine obovate con apice acuminato e base stretta. Il margine è doppiamente seghettato, la nervatura risulta ben marcata. Il picciolo non ha stipole, ma una base allargata ed una fenditura che lo solca. Le foglie sono di color verde brillante nella pagina superiore e verde chiaro, con una leggera tomentosità sulle nervature, in quella inferiore.
La pianta ha fiori ermafroditi a simmetria bilaterale, costituiti da un piccolo calice a 5 lobi ed una corolla con 5 petali bianchi, spesso macchiati di rosa o giallo al centro. I fiori sono riuniti in infiorescenze a pannocchia di grandi dimensioni (fino a 20 cm di grandezza e 50 fiori). La fioritura avviene nei mesi di aprile – maggio
I frutti sono grosse capsule rotonde e verdastre, munite di corti aculei, che si aprono in tre valve e contengono un grosso seme o anche più semi di colore bruno lucido che prendono il nome di castagna matta. Hanno un sapore amaro e sviluppano un odore molto sgradevole durante la cottura; sono leggermente tossici quindi non commestibili.
Originario dell'Europa orientale (penisola balcanica, Caucaso); è stato introdotto a Vienna nel 1591 da Charles de l'Écluse e a Parigi, da Bachelier, nel 1615.
Longevo e rustico, tollera le basse temperature e non ha particolari esigenze in fatto di suolo, anche se cresce meglio nei terreni fertili. È poco resistente alla salinità del terreno e agli agenti inquinanti atmosferici, ai quali reagisce con arrossamento dei margini fogliari e disseccamento precoce della lamina.
Fu importato in Italia dal Mattioli da Costantinopoli dove il frutto era usato nella medicina veterinaria somministrato ai cavalli; fu sempre il Mattioli a descrivere le proprietà dei frutti nei suoi Commentarii.
In Italia è coltivato in tutte le regioni, soprattutto in quelle centro-settentrionali, dalla pianura fino a 1200 metri di altitudine; in molte regioni è presente come alloctono casuale
È molto usato come ornamentale nei viali o come pianta isolata. Crea una zona d'ombra molto grande e fitta.
L'ippocastano può arrivare a 25-30 metri di altezza; presenta un portamento arboreo elegante ed imponente. La chioma è espansa, raggiunge anche gli 8-10 metri di diametro restando molto compatta. L'aspetto è tondeggiante o piramidale, a causa dei rami inferiori che hanno andamento orizzontale.
I rami sono lenticellati, presentano grandi gemme opposte, rossastre, ed una terminale di notevoli dimensioni, ricoperte da una sostanza collosa. La corteccia è bruna e liscia e si desquama con l'età.
Le foglie dell'ippocastano sono decidue, palmato-settate, con inserzione opposta, mediante un picciolo di 10–15 cm, su rametti bruni o verdastri e leggermente pubescenti. Ciascuna foglia, che può arrivare a oltre 20 cm di lunghezza, è costituita da 5-7 lamine obovate con apice acuminato e base stretta. Il margine è doppiamente seghettato, la nervatura risulta ben marcata. Il picciolo non ha stipole, ma una base allargata ed una fenditura che lo solca. Le foglie sono di color verde brillante nella pagina superiore e verde chiaro, con una leggera tomentosità sulle nervature, in quella inferiore.
La pianta ha fiori ermafroditi a simmetria bilaterale, costituiti da un piccolo calice a 5 lobi ed una corolla con 5 petali bianchi, spesso macchiati di rosa o giallo al centro. I fiori sono riuniti in infiorescenze a pannocchia di grandi dimensioni (fino a 20 cm di grandezza e 50 fiori). La fioritura avviene nei mesi di aprile – maggio
I frutti sono grosse capsule rotonde e verdastre, munite di corti aculei, che si aprono in tre valve e contengono un grosso seme o anche più semi di colore bruno lucido che prendono il nome di castagna matta. Hanno un sapore amaro e sviluppano un odore molto sgradevole durante la cottura; sono leggermente tossici quindi non commestibili.
Originario dell'Europa orientale (penisola balcanica, Caucaso); è stato introdotto a Vienna nel 1591 da Charles de l'Écluse e a Parigi, da Bachelier, nel 1615.
Longevo e rustico, tollera le basse temperature e non ha particolari esigenze in fatto di suolo, anche se cresce meglio nei terreni fertili. È poco resistente alla salinità del terreno e agli agenti inquinanti atmosferici, ai quali reagisce con arrossamento dei margini fogliari e disseccamento precoce della lamina.
Fu importato in Italia dal Mattioli da Costantinopoli dove il frutto era usato nella medicina veterinaria somministrato ai cavalli; fu sempre il Mattioli a descrivere le proprietà dei frutti nei suoi Commentarii.
In Italia è coltivato in tutte le regioni, soprattutto in quelle centro-settentrionali, dalla pianura fino a 1200 metri di altitudine; in molte regioni è presente come alloctono casuale
Larix è un genere di conifere appartenenti alla famiglia delle Pinaceae. Vi appartengono i larici, con l'unica specie europea presente in Italia: Larix decidua Miller. Nella flora spontanea italiana ed europea i larici sono le uniche conifere le cui foglie non sono persistenti (non sono sempreverdi e quindi cadono in autunno e inverno), anche se nel mondo esistono altri generi di gimnosperme a foglie caduche.
Il genere comprende alberi decidui con un'altezza che può raggiungere anche i 50-60 metri (Larix occidentalis). Le foglie sono aghi brevi di colore verde tenue che, come nel genere Cedrus, sono raccolti in gruppi di 20-40 individui e portati su brachiblasti. La chioma è piramidale e rada, con rami portati orizzontalmente al tronco, anche se alcune specie li hanno caratteristicamente penduli. I fiori maschili (microsporofilli) sono conetti arancio-giallastri e cadono dopo l'impollinazione. I fiori femminili (macrosporofilli) sono coni sferici rosa-violacei articolati in squame e brattee e portati sullo stesso ramo dei fiori maschili, anche se in strutture diverse (piante monoiche a sessi separati sullo stesso individuo). Dopo la maturazione, che dura un anno, lignificano (e in questa fase sono chiamati strobili o pigne) e permangono sulla pianta attaccati ai rami per parecchi anni dopo aver disperso i semi alati. I larici sono alberi dal portamento snello, dall'ampio e profondo apparato radicale e dalla corteccia rugosa finemente screpolata in placche irregolari. Il legno è bicolore, con durame rosa salmone e alburno bianco giallastro.
Il numero cromosomico è 2n = 24, simile a quello della maggior parte degli altri alberi della famiglia delle Pinaceae.
Il genere Larix è presente in tutte le zone temperato-fredde dell'emisfero boreale, dal Nordamerica alla Siberia settentrionale passando per Europa, Cina montuosa e Giappone. I larici sono importanti componenti delle foreste di Russia, Europa centrale, Stati Uniti e Canada. Richiedono un clima fresco e abbastanza umido e per questo motivo si trovano nelle montagne delle zone temperate, mentre nelle aree boreali vegetano anche nel piano. Al genere Larix appartengono gli alberi che si spingono più a nord di tutti arrivando a lambire, in Nordamerica e Siberia, la tundra e ghiacci polari. I larici sono specie ricolonizzatrici frugali, poco esigenti nei confronti del suolo e molto longevi. Vivono in foreste pure o miste, assieme ad altre conifere o più raramente latifoglie.
Sulle Alpi è diffuso il larice europeo o comune (Larix decidua Miller) che cresce spontaneo in alta quota. Un'altra specie diffusa ma introdotta in Europa è il larice del Giappone (Larix kaempferi Sargent), utilizzato in selvicoltura perché resistente al fungo che causa il cancro del larice (Lachnellula willkommii). In Italia il larice europeo costituisce un relitto glaciale, essendo sceso verso sud durante le glaciazioni e poi risalito in altitudine sulle montagne invece che in latitudine durante il successivo periodo post-glaciale. Sulle Alpi, infatti, quest'albero predilige le alte quote, raggiungendo e superando i 2300 metri sopra il livello del mare. Essendo l'unica conifera dell'arco Alpino a foglie caduche, l'affermazione di questa specie richiede l'assenza di cormofite concorrenti, che costituirebbero un ostacolo all'approvvigionamento idrico e luminoso. I lariceti, infatti, sono la naturale evoluzione ecologica, nel loro ambiente, dei terreni da poco smossi a seguito di eventi perturbativi particolarmente intensi (disturbi). Per questo motivo, il larice è considerata specie pioniera e ricolonizzatrice nelle successioni ecologiche, anche se è possibile trovarla in boschi misti o puri stabili (le cosiddette "successioni bloccate").
Il genere comprende alberi decidui con un'altezza che può raggiungere anche i 50-60 metri (Larix occidentalis). Le foglie sono aghi brevi di colore verde tenue che, come nel genere Cedrus, sono raccolti in gruppi di 20-40 individui e portati su brachiblasti. La chioma è piramidale e rada, con rami portati orizzontalmente al tronco, anche se alcune specie li hanno caratteristicamente penduli. I fiori maschili (microsporofilli) sono conetti arancio-giallastri e cadono dopo l'impollinazione. I fiori femminili (macrosporofilli) sono coni sferici rosa-violacei articolati in squame e brattee e portati sullo stesso ramo dei fiori maschili, anche se in strutture diverse (piante monoiche a sessi separati sullo stesso individuo). Dopo la maturazione, che dura un anno, lignificano (e in questa fase sono chiamati strobili o pigne) e permangono sulla pianta attaccati ai rami per parecchi anni dopo aver disperso i semi alati. I larici sono alberi dal portamento snello, dall'ampio e profondo apparato radicale e dalla corteccia rugosa finemente screpolata in placche irregolari. Il legno è bicolore, con durame rosa salmone e alburno bianco giallastro.
Il numero cromosomico è 2n = 24, simile a quello della maggior parte degli altri alberi della famiglia delle Pinaceae.
Il genere Larix è presente in tutte le zone temperato-fredde dell'emisfero boreale, dal Nordamerica alla Siberia settentrionale passando per Europa, Cina montuosa e Giappone. I larici sono importanti componenti delle foreste di Russia, Europa centrale, Stati Uniti e Canada. Richiedono un clima fresco e abbastanza umido e per questo motivo si trovano nelle montagne delle zone temperate, mentre nelle aree boreali vegetano anche nel piano. Al genere Larix appartengono gli alberi che si spingono più a nord di tutti arrivando a lambire, in Nordamerica e Siberia, la tundra e ghiacci polari. I larici sono specie ricolonizzatrici frugali, poco esigenti nei confronti del suolo e molto longevi. Vivono in foreste pure o miste, assieme ad altre conifere o più raramente latifoglie.
Sulle Alpi è diffuso il larice europeo o comune (Larix decidua Miller) che cresce spontaneo in alta quota. Un'altra specie diffusa ma introdotta in Europa è il larice del Giappone (Larix kaempferi Sargent), utilizzato in selvicoltura perché resistente al fungo che causa il cancro del larice (Lachnellula willkommii). In Italia il larice europeo costituisce un relitto glaciale, essendo sceso verso sud durante le glaciazioni e poi risalito in altitudine sulle montagne invece che in latitudine durante il successivo periodo post-glaciale. Sulle Alpi, infatti, quest'albero predilige le alte quote, raggiungendo e superando i 2300 metri sopra il livello del mare. Essendo l'unica conifera dell'arco Alpino a foglie caduche, l'affermazione di questa specie richiede l'assenza di cormofite concorrenti, che costituirebbero un ostacolo all'approvvigionamento idrico e luminoso. I lariceti, infatti, sono la naturale evoluzione ecologica, nel loro ambiente, dei terreni da poco smossi a seguito di eventi perturbativi particolarmente intensi (disturbi). Per questo motivo, il larice è considerata specie pioniera e ricolonizzatrice nelle successioni ecologiche, anche se è possibile trovarla in boschi misti o puri stabili (le cosiddette "successioni bloccate").
Il maggiociondolo (Laburnum anagyroides Medik., 1787) è un piccolo albero caducifoglio (alto dai 4 ai 6 metri), appartenente alla famiglia delle Fabacee. Il nome volgare allude ai fiori a grappoli pendenti che, in maggio, ciondolano.
Ha portamento arbustivo, la corteccia è liscia, con rami espansi verdi scuri e ramoscelli penduli e pubescenti.
Le foglie (composte da tre foglioline) hanno un lungo picciolo, glabre superiormente e pelose inferiormente.
I fiori sono di colore giallo oro, molto profumati, sono raggruppati in lunghi racemi penduli (fino a 25 cm) e fioriscono tipicamente in maggio.
I frutti sono baccelli dai numerosi semi neri contenenti citisina (un alcaloide), estremamente velenosi (per l'uomo, ma anche per capre e cavalli) specie se immaturi. Alcuni animali selvatici tuttavia (come lepri, conigli e cervi) se ne possono cibare senza problemi, e per questo in alcune regioni è ritenuta una pianta magica.
Il legno è duro e pesante, di colore giallo/bruno, ottimo per pali, lavori al tornio e come combustibile. In passato - ma anche oggi nelle rievocazioni storiche - era utilizzato come ottimo legno per la costruzione degli archi.
L'albero è noto anche come falso ebano (o avorniello) in quanto il legno di esemplari molto vecchi poteva essere usato in sostituzione dell'ebano
Ha portamento arbustivo, la corteccia è liscia, con rami espansi verdi scuri e ramoscelli penduli e pubescenti.
Le foglie (composte da tre foglioline) hanno un lungo picciolo, glabre superiormente e pelose inferiormente.
I fiori sono di colore giallo oro, molto profumati, sono raggruppati in lunghi racemi penduli (fino a 25 cm) e fioriscono tipicamente in maggio.
I frutti sono baccelli dai numerosi semi neri contenenti citisina (un alcaloide), estremamente velenosi (per l'uomo, ma anche per capre e cavalli) specie se immaturi. Alcuni animali selvatici tuttavia (come lepri, conigli e cervi) se ne possono cibare senza problemi, e per questo in alcune regioni è ritenuta una pianta magica.
Il legno è duro e pesante, di colore giallo/bruno, ottimo per pali, lavori al tornio e come combustibile. In passato - ma anche oggi nelle rievocazioni storiche - era utilizzato come ottimo legno per la costruzione degli archi.
L'albero è noto anche come falso ebano (o avorniello) in quanto il legno di esemplari molto vecchi poteva essere usato in sostituzione dell'ebano
Magnolia L. è un genere di piante della famiglia delle Magnoliacee, originarie del Nord e Sud America e dell'Asia sud-orientale, dall'India alla Nuova Guinea
Il nome del genere è un omaggio a Pierre Magnol (1638-1715), medico e botanico francese, direttore dell'orto botanico di Montpellier.
Comprende specie arboree e arbustive, a lento accrescimento, ma che in alcune specie come Magnolia campbellii e Magnolia officinalis possono superare i 20 m di altezza, caratterizzate da interessanti fioriture.
Hanno foglie alterne, ovali o ellittiche, generalmente grandi e coriacee, perenni sempreverdi o decidue, hanno una caratteristica ornamentale particolare: nella pagina superiore è verde, mentre nella pagina inferiore è marrone. Fiori solitari e molto grandi, generalmente a forma di coppa, con perianzio formato da 6-9 tepali (petali e sepali indifferenziati) di vari colori a seconda delle specie, gli stami numerosi sono lamellari, i carpelli sono disposti a cono sul ricettacolo. I frutti ovoidali in infruttescenze conoidali, contengono dei semi lucidi rossastri o arancio.
Prediligono posizione a mezzo-sole, clima estivo umido e piovoso, terreno acido permeabile e fresco.
Le zone alluvionali delle regioni prealpine italiane, costituiscono l'habitat ideale per lo sviluppo di queste piante.
La moltiplicazione avviene per talea, margotta, propaggine, innesto o con la semina
Il nome del genere è un omaggio a Pierre Magnol (1638-1715), medico e botanico francese, direttore dell'orto botanico di Montpellier.
Comprende specie arboree e arbustive, a lento accrescimento, ma che in alcune specie come Magnolia campbellii e Magnolia officinalis possono superare i 20 m di altezza, caratterizzate da interessanti fioriture.
Hanno foglie alterne, ovali o ellittiche, generalmente grandi e coriacee, perenni sempreverdi o decidue, hanno una caratteristica ornamentale particolare: nella pagina superiore è verde, mentre nella pagina inferiore è marrone. Fiori solitari e molto grandi, generalmente a forma di coppa, con perianzio formato da 6-9 tepali (petali e sepali indifferenziati) di vari colori a seconda delle specie, gli stami numerosi sono lamellari, i carpelli sono disposti a cono sul ricettacolo. I frutti ovoidali in infruttescenze conoidali, contengono dei semi lucidi rossastri o arancio.
Prediligono posizione a mezzo-sole, clima estivo umido e piovoso, terreno acido permeabile e fresco.
Le zone alluvionali delle regioni prealpine italiane, costituiscono l'habitat ideale per lo sviluppo di queste piante.
La moltiplicazione avviene per talea, margotta, propaggine, innesto o con la semina
Il melo domestico (Malus domestica (Suckow) Borkh., 1803) è una pianta da frutto appartenente alla famiglia delle Rosacee. È una delle più diffuse piante da frutto coltivate.
Il centro di origine del melo selvatico Malus sylvestris progenitore del melo coltivato Malus domestica pare sia il Kazakistan nella zona di Almaty. Questa specie è la madre di tutte le mele: è la mela più antica del mondo, la progenitrice di tutte le specie attualmente esistenti. Questa pianta ha origini che si perdono nel tempo; nel 1929 il biologo sovietico Nikolai Vavilov ne ha rintracciato dei fossili in Kazakistan, ai piedi delle Montagne Celesti del Tian Shan, ai confini con la Cina.
Il melo è un piccolo albero deciduo di 3-10 metri di altezza, con una chioma densa ed espansa e apparato radicale superficiale.
Le foglie sono alterne e semplici, a lamina ovale, leggermente seghettate, con apice acuto e base arrotondata, di 5-12 centimetri di lunghezza e 3–6 cm di larghezza, glabre superiormente e con una certa tomentosità sulla pagina inferiore. Il picciolo è lungo 2–5 cm.
I fiori sono ermafroditi di colore bianco-rosato esternamente e bianco internamente, a simmetria pentamera. Hanno una corolla composta da 5 petali, sono larghi 2,5-3,5 cm e hanno ovario infero. Sono riuniti in infiorescenze a corimbo, in numero di 3-7. La fioritura avviene in primavera, simultaneamente al germogliamento. L'impollinazione è entomofila.
Il frutto, detto pomo o mela comunemente, si forma per accrescimento del ricettacolo fiorale insieme all'ovario ed è perciò un falso frutto; ha forma globosa, generalmente di 5–9 cm di diametro, prima verde e a maturazione, estivo-autunnale, con colore variabile dal giallo-verde al rosso. Il frutto vero, derivato dall'accrescimento dell'ovario è in realtà costituito dal torsolo, di consistenza più coriacea rispetto alla polpa.
Il pericarpo contiene cinque carpelli disposti come una stella a cinque punte; ogni carpello contiene da uno a tre semi.
Il melo è colpito da varie malattie causate da funghi, tra cui la ticchiolatura del melo, l'oidio, la moniliosi, il cancro delle pomacee e il marciume radicale lanoso.
Tra gli insetti, i più importanti sono la cocciniglia di S. Josè (Quadraspidiotus perniciosus), l'afide grigio (Dysaphis plantaginea) e i lepidotteri Cydia pomonella, Orgyia antiqua e Cossus cossus.
Il melo è una pianta che tollera benissimo il freddo e, con l'eccezione di qualche varietà, può sopportare temperature fino a −25 °C, ma le gelate tardive possono procurare seri danni alla coltivazione; la sensibilità alle gelate dipende dal periodo di fioritura delle diverse coltivazioni.
Il melo può essere coltivato ovunque, ma preferisce un clima fresco, un terreno ricco di humus e le zone che si trovano tra i 600 e i 1.000 metri sopra il livello del mare. La pianta teme la siccità e i ristagni idrici.
Si può ricavare miele dai fiori, ma essendo questi poco appetiti dalle api, la produzione si concentra quasi esclusivamente nelle zone di estesa coltivazione come la Campania, l'Emilia-Romagna e il Trentino-Alto Adige.
Il melo è caratterizzato da autoincompatibilità. In conseguenza di ciò i semi generati sono sempre figli di due genitori differenti e quindi si limita la selezione artificiale delle caratteristiche interessanti per la coltivazione. Pertanto si ricorre largamente all'innesto per moltiplicare gli esemplari che esprimono meglio le caratteristiche di una certa varietà in modo da passare tali caratteristiche alle nuove piante. Tale pratica abbassa la varietà genetica tra gli esemplari e rende le coltivazioni più sensibili alle malattie ed ai parassiti
Il centro di origine del melo selvatico Malus sylvestris progenitore del melo coltivato Malus domestica pare sia il Kazakistan nella zona di Almaty. Questa specie è la madre di tutte le mele: è la mela più antica del mondo, la progenitrice di tutte le specie attualmente esistenti. Questa pianta ha origini che si perdono nel tempo; nel 1929 il biologo sovietico Nikolai Vavilov ne ha rintracciato dei fossili in Kazakistan, ai piedi delle Montagne Celesti del Tian Shan, ai confini con la Cina.
Il melo è un piccolo albero deciduo di 3-10 metri di altezza, con una chioma densa ed espansa e apparato radicale superficiale.
Le foglie sono alterne e semplici, a lamina ovale, leggermente seghettate, con apice acuto e base arrotondata, di 5-12 centimetri di lunghezza e 3–6 cm di larghezza, glabre superiormente e con una certa tomentosità sulla pagina inferiore. Il picciolo è lungo 2–5 cm.
I fiori sono ermafroditi di colore bianco-rosato esternamente e bianco internamente, a simmetria pentamera. Hanno una corolla composta da 5 petali, sono larghi 2,5-3,5 cm e hanno ovario infero. Sono riuniti in infiorescenze a corimbo, in numero di 3-7. La fioritura avviene in primavera, simultaneamente al germogliamento. L'impollinazione è entomofila.
Il frutto, detto pomo o mela comunemente, si forma per accrescimento del ricettacolo fiorale insieme all'ovario ed è perciò un falso frutto; ha forma globosa, generalmente di 5–9 cm di diametro, prima verde e a maturazione, estivo-autunnale, con colore variabile dal giallo-verde al rosso. Il frutto vero, derivato dall'accrescimento dell'ovario è in realtà costituito dal torsolo, di consistenza più coriacea rispetto alla polpa.
Il pericarpo contiene cinque carpelli disposti come una stella a cinque punte; ogni carpello contiene da uno a tre semi.
Il melo è colpito da varie malattie causate da funghi, tra cui la ticchiolatura del melo, l'oidio, la moniliosi, il cancro delle pomacee e il marciume radicale lanoso.
Tra gli insetti, i più importanti sono la cocciniglia di S. Josè (Quadraspidiotus perniciosus), l'afide grigio (Dysaphis plantaginea) e i lepidotteri Cydia pomonella, Orgyia antiqua e Cossus cossus.
Il melo è una pianta che tollera benissimo il freddo e, con l'eccezione di qualche varietà, può sopportare temperature fino a −25 °C, ma le gelate tardive possono procurare seri danni alla coltivazione; la sensibilità alle gelate dipende dal periodo di fioritura delle diverse coltivazioni.
Il melo può essere coltivato ovunque, ma preferisce un clima fresco, un terreno ricco di humus e le zone che si trovano tra i 600 e i 1.000 metri sopra il livello del mare. La pianta teme la siccità e i ristagni idrici.
Si può ricavare miele dai fiori, ma essendo questi poco appetiti dalle api, la produzione si concentra quasi esclusivamente nelle zone di estesa coltivazione come la Campania, l'Emilia-Romagna e il Trentino-Alto Adige.
Il melo è caratterizzato da autoincompatibilità. In conseguenza di ciò i semi generati sono sempre figli di due genitori differenti e quindi si limita la selezione artificiale delle caratteristiche interessanti per la coltivazione. Pertanto si ricorre largamente all'innesto per moltiplicare gli esemplari che esprimono meglio le caratteristiche di una certa varietà in modo da passare tali caratteristiche alle nuove piante. Tale pratica abbassa la varietà genetica tra gli esemplari e rende le coltivazioni più sensibili alle malattie ed ai parassiti
Acacia dealbata Link, 1822 è una pianta appartenente alla famiglia delle Fabaceae, conosciuta con il nome comune di mimosa.
A proposito del nome comune, occorre prestare attenzione: nel linguaggio scientifico, il termine di "mimosa" non si riferisce alla specie conosciuta come "mimosa" nel linguaggio quotidiano, ossia l'Acacia dealbata; il termine scientifico indica invece il genere Mimosa, che comprende specie diverse, tra cui la sensitiva.
È una tipica pianta pioniera, molto utilizzata come pianta ornamentale grazie alla sua profumata fioritura con fiori gialli molto delicati.
Dal 1946, in Italia, il ramo fiorito di mimosa è associato al giorno dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna
Portamento
Alto da 8 a 15 metri con una chioma ampia, scomposta e non folta.
Corteccia
La corteccia è liscia e grigio-biancastra e viene utilizzata per estrarre il tannino.
Foglie
Le foglie sono sempreverdi, di colore verde argenteo, lineari, con margine intero, parallelinervie, disposte in 8-20 paia di pinnule perpendicolari al rametto e composte a loro volta da circa 20-30 paia di foglioline perpendicolari alla nervatura principale.
Fiori
I fiori sono riuniti in capolini globosi sferici di colore giallo intenso (giallo limone) e profumati; raccolti in racemi da 7 a 10 cm che si sviluppano all'ascella delle foglie.
La pianta fiorisce tra febbraio e marzo.
La pianta è visitata dalle api per il polline ed il nettare.
Frutto
Il frutto è un legume lungo da 4 a 10 cm che quando è maturo assume una colorazione nerastra.
È una pianta originaria dell'Australia sud-orientale. Per le sue caratteristiche come pianta ornamentale ha avuto un facile sviluppo in Europa dal XIX secolo dove a tutt'oggi prospera quasi spontanea. In Italia è molto sviluppata lungo la Riviera ligure, in Toscana, in Sicilia, e in tutto il meridione, ma anche sulle coste dei laghi del nord. È una pianta molto delicata che preferisce terreni freschi, ben drenati, tendenzialmente acidi soprattutto per una buona fioritura. Cresce preferibilmente in aree con clima temperato, teme inverni molto rigidi per lungo tempo sotto lo zero che possono portarla alla morte
Acacia dealbata è propagata per seme con facilità, mentre la talea è pratica poco usata a causa della bassa radicazione delle marze. Diffuso è anche l'innesto che sfrutta semenzali della congenere Acacia retinoides.
Dal 1946, per iniziativa della parlamentare comunista Teresa Mattei, in Italia il ramo fiorito di mimosa viene offerto alle donne il giorno dell'8 marzo per la Giornata internazionale della donna
Il nome di mimosa è usato anche per l'omonima torta che si usa preparare nella stessa data
A proposito del nome comune, occorre prestare attenzione: nel linguaggio scientifico, il termine di "mimosa" non si riferisce alla specie conosciuta come "mimosa" nel linguaggio quotidiano, ossia l'Acacia dealbata; il termine scientifico indica invece il genere Mimosa, che comprende specie diverse, tra cui la sensitiva.
È una tipica pianta pioniera, molto utilizzata come pianta ornamentale grazie alla sua profumata fioritura con fiori gialli molto delicati.
Dal 1946, in Italia, il ramo fiorito di mimosa è associato al giorno dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna
Portamento
Alto da 8 a 15 metri con una chioma ampia, scomposta e non folta.
Corteccia
La corteccia è liscia e grigio-biancastra e viene utilizzata per estrarre il tannino.
Foglie
Le foglie sono sempreverdi, di colore verde argenteo, lineari, con margine intero, parallelinervie, disposte in 8-20 paia di pinnule perpendicolari al rametto e composte a loro volta da circa 20-30 paia di foglioline perpendicolari alla nervatura principale.
Fiori
I fiori sono riuniti in capolini globosi sferici di colore giallo intenso (giallo limone) e profumati; raccolti in racemi da 7 a 10 cm che si sviluppano all'ascella delle foglie.
La pianta fiorisce tra febbraio e marzo.
La pianta è visitata dalle api per il polline ed il nettare.
Frutto
Il frutto è un legume lungo da 4 a 10 cm che quando è maturo assume una colorazione nerastra.
È una pianta originaria dell'Australia sud-orientale. Per le sue caratteristiche come pianta ornamentale ha avuto un facile sviluppo in Europa dal XIX secolo dove a tutt'oggi prospera quasi spontanea. In Italia è molto sviluppata lungo la Riviera ligure, in Toscana, in Sicilia, e in tutto il meridione, ma anche sulle coste dei laghi del nord. È una pianta molto delicata che preferisce terreni freschi, ben drenati, tendenzialmente acidi soprattutto per una buona fioritura. Cresce preferibilmente in aree con clima temperato, teme inverni molto rigidi per lungo tempo sotto lo zero che possono portarla alla morte
Acacia dealbata è propagata per seme con facilità, mentre la talea è pratica poco usata a causa della bassa radicazione delle marze. Diffuso è anche l'innesto che sfrutta semenzali della congenere Acacia retinoides.
Dal 1946, per iniziativa della parlamentare comunista Teresa Mattei, in Italia il ramo fiorito di mimosa viene offerto alle donne il giorno dell'8 marzo per la Giornata internazionale della donna
Il nome di mimosa è usato anche per l'omonima torta che si usa preparare nella stessa data
Il suo frutto è chiamato "nespola". Negli ultimi due secoli però, in Europa e altri paesi del mondo è stato gradualmente e commercialmente rimpiazzato dal nespolo giapponese, che appartiene ad una specie diversa, ma i suoi frutti vengono sempre chiamati "nespole". I frutti di entrambe le specie si raccolgono acerbi, in attesa di maturazione fuori dalla pianta, tuttavia la nespola europea è a raccolta autunnale, di forma più tondeggiante e con una buccia di color verdastro-grigio-marrone chiaro, riconoscibile da una grossa apertura al fondo, mentre quella giapponese è primaverile, la bacca appare più oblunga e chiusa, e la buccia di un colore più vivo e giallo.
Il nespolo europeo appare come un albero di medie dimensioni, raggiungendo i 4–5 m in altezza (a differenza del giapponese, che può raggiungere i 10 m in altezza), e con una larghezza della chioma che spesso supera l'altezza, latifoglio e caducifoglio (= perde le foglie in inverno). È un albero longevo e può diventare anche pluricentenario, ma ha una crescita molto lenta.
I fiori, ermafroditi, di colore bianco puro, sono semplici, a cinque petali; la fioritura nel complesso è molto decorativa. Nei soggetti selvatici, i giovani rami possono essere spinosi. Le foglie sono lanceolate. La fioritura, che è piuttosto tardiva (all'incirca nel mese di maggio), avviene dopo l'emissione delle foglie.
È una pianta molto visitata dalle api
I frutti appaiono come dei piccoli pomi tondeggianti, a buccia ruvida e di colore verde-grigio-marrone chiaro, spesso coperti da una finissima peluria; le dimensioni variano da 2 a 3 cm di diametro. Come detto, la raccolta avviene a frutto immaturo verso novembre, ma vengono consumati man mano che maturano, grazie al tepore domestico, un po' come avviene per i kiwi. Inizialmente, i frutti restano duri e con sapore acido ed astringente fino a dicembre, poi, una successiva trasformazione enzimatica della polpa riduce il contenuto di tannino e ne rende possibile il consumo. I frutti, dopo la maturazione, arrivano ad avere una concentrazione di zuccheri di almeno il 20%. Questi frutti quindi, non possono essere consumati alla raccolta, che si ha verso fine ottobre, ma vanno lasciati "ammezzire" in un ambiente asciutto e ventilato (appunto sotto la paglia), cioè rammollire e virare di colore dal marrone chiaro al marrone scuro. La trasformazione enzimatica trasforma quindi la polpa, cancellando il forte sapore acido ed astringente, rendendole commestibili e zuccherini, questo nonostante la robusta buccia ed i numerosi e duri semi rendano problematico il consumo. Questo processo in cui i tannini si trasformano in zuccheri riducendo l'acidità e aumentando la dolcezza della polpa, come avviene nel sorbus domestica. La polpa del frutto presenta gradualmente un gusto via via più dolce, anche se rimane una nota leggermente acidula, dovuta alla presenza di acido formico e acetico, e di solito viene mangiato togliendo il picciolo e risucchiando la polpa, trattenendo i semi al suo interno.
Essendo una pianta autunnale molto resistente al freddo, con fioritura tardiva successiva alle ultime brinate, si presta soprattutto alle zone, appunto, dell'Europa Centrale, anche se esistono dei cultivar selezionati, con frutti leggermente migliorati per dimensioni e caratteristiche organolettiche, adatti alle latitudini di area mediterranea. Altre selezioni europee possono essere, ad esempio, quelle olandesi, come la nespola "Hollandia", il "Gigante di Breda", il tipico "Dutch", "Mostro" o "Gigante" olandese, con frutto, appunto, leggermente più grande, oppure il "Grande Russo" e lo scozzese "Nottingham".
Fuori dall'area del vecchio continente invece, nel 1990, furono scoperte alcune piante attribuibili al genere Mespilus in Arkansas, negli Stati Uniti. Per queste piante (circa 25 esemplari in tutto, ristretti a un unico bosco), fu descritta una specie nuova, il Mespilus canescens. Il canescens risulterebbe una specie a fortissimo rischio di estinzione, dato il suo ristrettissimo areale e le scarse capacità riproduttive manifestate in questi anni.
In Italia, grazie alla sua resistenza al freddo, si è tradizionalmente prestato alle zone del Settentrione[senza fonte], anche se è stato anticamente piantato anche in alcune zone dell'Italia centrale e meridionale, come il caso, ad esempio, la cosiddetta "Casa del Nespolo" di Aci Trezza (Sicilia), citata nei Malavoglia di Giovanni Verga (1881).
Nelle regioni dell'Italia settentrionale, il frutto viene dialettalmente chiamato similmente al suo nome italiano, come ad esempio gnespul in friulano, venèspula in lombardo, nespolar in veneto, nèspla in emiliano, tranne alcune eccezioni, come pomai, pomatai in dialetto solandro, o neflier, nephie in valdostano.
In Piemonte, la nespola germanica si diffuse maggiormente attraverso la tradizione popolare, ribattezzandola con il termine pocio (da leggersi "puciu", in piemontese), un frutto anche qui molto comune almeno fino al XX secolo, poi via via rimpiazzato dall'attuale nespola giapponese. Tuttavia, i pocio vengono ancor oggi coltivati, appunto per tradizione, in alcune zone, soprattutto nel Basso Piemonte, in particolare in provincia di Cuneo e nelle Langhe meridionali, quasi ai confini con la Liguria, anche attraverso delle esposizioni e delle fiere dedicate. Le più famose sono a Farigliano, dove tra novembre e dicembre si svolge una festa dedicata alla frazione di San Nicolao abbinata alla "Fiera dei Puciu", e a Trinità, dove l'ultima domenica di novembre si svolge la “fera dij pocio e dij bigat”, riproposta, dopo un periodo di interruzione durato 50 anni, nel 2000, dove fu associato il pocio all'antica coltivazione del baco da seta (bigat,in piemontese). Ogni anno inoltre, la seconda domenica di novembre, si tiene a Virle Piemonte una fiera dedicata alla zucca e al nespolo. Sempre in queste zone vengono tradizionalmente preparate delle grappe tipiche, ma anche dolci farciti di marmellata ai "pocio". Con la trasformazione si ottengono: marmellate, gelatine, salse e varie preparazioni culinarie, fino addirittura a formaggi aromatici.
La lunga maturazione a riposo nella paglia anche oltre il periodo natalizio, associata alla graduale e crescente dolcezza del frutto, portò a coniare il proverbio italiano "Con il tempo e con la paglia maturano le nespole" (ovvero ci vuole pazienza ed occorre aspettare per vedere i risultati).
Legato a questo aspetto, fu inoltre diffuso l'antico detto piemontese stago da pocio ("sto come un puciu"), ad indicare uno stato di pace, riposo, e tranquillo tepore domestico. Sempre metaforicamente, il termine dialettale piemontese pocio o pocionin indicava la forma del "piccolo pomo" di capelli lunghi delle giovani ragazze che si veniva a formare raccogliendoli dietro e fermandoli con un fermacapelli, e sempre metaforicamente, il soprannome della ragazza stessa.
Il nocciòlo (Corylus avellana L., 1753) è un albero da frutto appartenente alla famiglia Betulaceae
Il nome del genere deriva dal greco κόρυς = elmo, oppure da kurl, il nome celtico della pianta, mentre l'epiteto specifico deriva da Avella, comune in provincia di Avellino, zona nota fin dall'antichità per la coltivazione di noccioli
La pianta ha portamento a cespuglio o ad albero, se coltivata è alta in genere dai 2 ai 4 m ma se lasciata in forma libera può raggiungere anche l'altezza di 7–8 m. Ha foglie semplici, cuoriforme a margine dentato. È una specie monoica diclina, caducifoglia e latifoglia, con crescita rapida.
Le infiorescenze sono unisessuali. Le maschili in amenti penduli che si formano in autunno, le femminili somigliano ad una gemma di piccole dimensioni. Ogni cultivar di nocciolo è autosterile ed ha bisogno di essere impollinata da un'altra cultivar.
Il frutto (chiamato nocciola) è avvolto da brattee da cui si libera a maturazione e cade. Esso è commestibile e viene usato crudo, cotto o macinato in pasta, inoltre è ricco di un olio usato sia nell'alimentazione che dall'industria cosmetica.
Il legno del nocciolo è molto flessibile, elastico e leggero, fin dall'antichità veniva usato per costruire ceste e recinti. Non è adatto come materiale da costruzione o per mobili in quanto troppo elastico e poco durevole.
Il suo areale geografico naturale è europeo-caucasico, va dalla Penisola iberica e Inghilterra fino al Volga, e dalla Svezia alla Sicilia. La distribuzione altitudinale è da collinare a medio-montana. Rifugge le aree mediterranee più calde e aride. Preferisce terreni calcarei, ben drenati, fertili e profondi e luoghi semi-ombreggiati. L'habitat naturale è costituito da boschi di latifoglie, soprattutto querceti misti mesofili, radure e margini. Può formare boschetti pionieri su terreni freschi pietrosi, in consociazione con aceri o pioppo tremulo
Il nome del genere deriva dal greco κόρυς = elmo, oppure da kurl, il nome celtico della pianta, mentre l'epiteto specifico deriva da Avella, comune in provincia di Avellino, zona nota fin dall'antichità per la coltivazione di noccioli
La pianta ha portamento a cespuglio o ad albero, se coltivata è alta in genere dai 2 ai 4 m ma se lasciata in forma libera può raggiungere anche l'altezza di 7–8 m. Ha foglie semplici, cuoriforme a margine dentato. È una specie monoica diclina, caducifoglia e latifoglia, con crescita rapida.
Le infiorescenze sono unisessuali. Le maschili in amenti penduli che si formano in autunno, le femminili somigliano ad una gemma di piccole dimensioni. Ogni cultivar di nocciolo è autosterile ed ha bisogno di essere impollinata da un'altra cultivar.
Il frutto (chiamato nocciola) è avvolto da brattee da cui si libera a maturazione e cade. Esso è commestibile e viene usato crudo, cotto o macinato in pasta, inoltre è ricco di un olio usato sia nell'alimentazione che dall'industria cosmetica.
Il legno del nocciolo è molto flessibile, elastico e leggero, fin dall'antichità veniva usato per costruire ceste e recinti. Non è adatto come materiale da costruzione o per mobili in quanto troppo elastico e poco durevole.
Il suo areale geografico naturale è europeo-caucasico, va dalla Penisola iberica e Inghilterra fino al Volga, e dalla Svezia alla Sicilia. La distribuzione altitudinale è da collinare a medio-montana. Rifugge le aree mediterranee più calde e aride. Preferisce terreni calcarei, ben drenati, fertili e profondi e luoghi semi-ombreggiati. L'habitat naturale è costituito da boschi di latifoglie, soprattutto querceti misti mesofili, radure e margini. Può formare boschetti pionieri su terreni freschi pietrosi, in consociazione con aceri o pioppo tremulo
Juglans L. è un genere di angiosperme eudicotiledoni appartenente alla famiglia Juglandaceae, comunemente note con il nome generico di noci.
Il nome del genere deriva dal latino Iovis glans (ghianda di Giove).
La specie più conosciuta è Juglans regia, noto come noce da frutto o noce bianco. Quest'ultimo è la principale specie che produce l'omonimo frutto commestibile.
Le Juglans sono alberi di grande taglia, con altezze comprese tra 10 e 40 metri. Le foglie sono alterne e imparipennate. Le piante sono monoiche a sessi separati, con impollinazione anemofila. I fiori maschili sono raggruppati in spighe che comprendono fino a 36 stami. I fiori femminili (pistilli) sono riuniti a gruppi di 2-4, con uno stigma. Il frutto è una drupa indeiscente a endocarpo sclerificato, contenente un solo seme con cotiledoni sviluppati e ricchi in materia grassa, chiamato noce.
L'areale naturale comprende l'America Settentrionale e Meridionale, l'Asia e l'Europa centrale e meridionale.
Il nome del genere deriva dal latino Iovis glans (ghianda di Giove).
La specie più conosciuta è Juglans regia, noto come noce da frutto o noce bianco. Quest'ultimo è la principale specie che produce l'omonimo frutto commestibile.
Le Juglans sono alberi di grande taglia, con altezze comprese tra 10 e 40 metri. Le foglie sono alterne e imparipennate. Le piante sono monoiche a sessi separati, con impollinazione anemofila. I fiori maschili sono raggruppati in spighe che comprendono fino a 36 stami. I fiori femminili (pistilli) sono riuniti a gruppi di 2-4, con uno stigma. Il frutto è una drupa indeiscente a endocarpo sclerificato, contenente un solo seme con cotiledoni sviluppati e ricchi in materia grassa, chiamato noce.
L'areale naturale comprende l'America Settentrionale e Meridionale, l'Asia e l'Europa centrale e meridionale.
Ulmus L., 1753 è un genere di piante della famiglia Ulmaceae, che comprende alberi denominati olmi, diffusi naturalmente in Europa, in Asia e in Nordamerica e largamente utilizzati come piante ornamentali e soprattutto nella silvicoltura e nell'arboricoltura da legno.
Possono raggiungere 25–30 m di altezza; le foglie sono decidue, semplici, ovoidali a margine seghettato e con la lamina fortemente asimmetrica. I fiori sono ermafroditi, con ovario supero e riuniti in infiorescenze. Il frutto è una samara.
L'olmo campestre ha origine nelle regioni mediterranee. Il portamento è arboreo o arbustivo e nel tronco vi è una corteccia verde-brunastra. La foglia è caduca, con l'apice della lamina appuntito e la base asimmetrica. I fiori, anche qui ermafroditi e riuniti su rametti, sono rossi e fioriscono alla fine della stagione invernale. Anche il frutto dell'olmo campestre è una samara, di dimensione compresa tra 1,5 e 2,5 cm, esse sono presenti sui rametti e maturano durante la stagione estiva. Le samare cambiano più volte colore: rossastro al momento della nascita, verde-giallastro al momento della formazione e ocra-brunastro al momento della maturità
Nel medioevo, in piccoli borghi sprovvisti di palazzo comunale, l'olmo costituiva il luogo per le riunioni assembleari e dei consigli
Possono raggiungere 25–30 m di altezza; le foglie sono decidue, semplici, ovoidali a margine seghettato e con la lamina fortemente asimmetrica. I fiori sono ermafroditi, con ovario supero e riuniti in infiorescenze. Il frutto è una samara.
L'olmo campestre ha origine nelle regioni mediterranee. Il portamento è arboreo o arbustivo e nel tronco vi è una corteccia verde-brunastra. La foglia è caduca, con l'apice della lamina appuntito e la base asimmetrica. I fiori, anche qui ermafroditi e riuniti su rametti, sono rossi e fioriscono alla fine della stagione invernale. Anche il frutto dell'olmo campestre è una samara, di dimensione compresa tra 1,5 e 2,5 cm, esse sono presenti sui rametti e maturano durante la stagione estiva. Le samare cambiano più volte colore: rossastro al momento della nascita, verde-giallastro al momento della formazione e ocra-brunastro al momento della maturità
Nel medioevo, in piccoli borghi sprovvisti di palazzo comunale, l'olmo costituiva il luogo per le riunioni assembleari e dei consigli
Alnus Mill., 1754 è un genere di piante della famiglia Betulaceae che comprende alcune specie comunemente note come ontani.
Gli ontani sono alberi, generalmente di piccola taglia, o cespugli. Si sviluppano sino a 8-10 metri, eccezionalmente raggiungono i 25-30 metri (35 metri Alnus rubra, specie della costa pacifica americana).
Le foglie sono semplici, caduche, alterne, a margine dentato.
I fiori sono riuniti in amenti a sessi separati sulla medesima pianta (l'ontano è una pianta monoica). Gli amenti maschili sono allungati, mentre i femminili ovali e più corti. L'impollinazione nel genere è per lo più anemofila; raramente possono essere visitati dalle api. La fioritura avviene prima della fogliazione.
Le infruttescenze hanno un tipico aspetto legnoso e non si disintegrano a maturità, caratteristiche che aiutano a differenziare gli ontani dalle betulle (genere Betula), unico altro genere della sottofamiglia Betuloideae.
Sono dei magnifici colonizzatori e per questo spesso vengono utilizzati per bonificare i terreni poveri, umidi, malsani; infatti attraverso le loro radici fissano l'azoto al terreno, svolgendo la funzione di azotofissazione. Il legno è molto resistente all'acqua (Venezia è tutta costruita su fondazioni di pali, in massima parte di ontano, prelevati dai boschi delle Prealpi venete e friulane e da quelli cadorini, carnici e istriani).
Il genere Alnus comprende una trentina di specie, diffuse in Europa, in Asia e nelle due Americhe.
Le specie di ontano presenti in Italia sono quattro:
ontano bianco - Alnus incana (L.) Moench
ontano nero - Alnus glutinosa (L.) Gaertnen
ontano verde - Alnus alnobetula subsp. albobetula (Ehrh.) K.Koch
ontano napoletano - Alnus cordata (Loisel.) Desf.
L'ontano napoletano costituisce un endemismo della regione italiana: cresce infatti in natura solo nell'Italia meridionale e in Corsica, formando estesi boschi.
L'ontano nero, invece, ha una diffusione molto ampia in Europa, ma si trova quasi solo sul bordo di fiumi e laghi.
Gli ontani sono alberi, generalmente di piccola taglia, o cespugli. Si sviluppano sino a 8-10 metri, eccezionalmente raggiungono i 25-30 metri (35 metri Alnus rubra, specie della costa pacifica americana).
Le foglie sono semplici, caduche, alterne, a margine dentato.
I fiori sono riuniti in amenti a sessi separati sulla medesima pianta (l'ontano è una pianta monoica). Gli amenti maschili sono allungati, mentre i femminili ovali e più corti. L'impollinazione nel genere è per lo più anemofila; raramente possono essere visitati dalle api. La fioritura avviene prima della fogliazione.
Le infruttescenze hanno un tipico aspetto legnoso e non si disintegrano a maturità, caratteristiche che aiutano a differenziare gli ontani dalle betulle (genere Betula), unico altro genere della sottofamiglia Betuloideae.
Sono dei magnifici colonizzatori e per questo spesso vengono utilizzati per bonificare i terreni poveri, umidi, malsani; infatti attraverso le loro radici fissano l'azoto al terreno, svolgendo la funzione di azotofissazione. Il legno è molto resistente all'acqua (Venezia è tutta costruita su fondazioni di pali, in massima parte di ontano, prelevati dai boschi delle Prealpi venete e friulane e da quelli cadorini, carnici e istriani).
Il genere Alnus comprende una trentina di specie, diffuse in Europa, in Asia e nelle due Americhe.
Le specie di ontano presenti in Italia sono quattro:
ontano bianco - Alnus incana (L.) Moench
ontano nero - Alnus glutinosa (L.) Gaertnen
ontano verde - Alnus alnobetula subsp. albobetula (Ehrh.) K.Koch
ontano napoletano - Alnus cordata (Loisel.) Desf.
L'ontano napoletano costituisce un endemismo della regione italiana: cresce infatti in natura solo nell'Italia meridionale e in Corsica, formando estesi boschi.
L'ontano nero, invece, ha una diffusione molto ampia in Europa, ma si trova quasi solo sul bordo di fiumi e laghi.
Pyrus L., 1753 è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Rosacee, comprendente specie arboree e arbustive con fioritura delicata e variamente colorata.
Sono alberi di medie dimensioni, che raggiungono i 10-17 metri. La maggior parte dei Pyrus sono decidui, ma una o due specie nell'Asia sud-orientale sono sempreverdi. Ne esistono sia di piccoli sia di grandi.
Le foglie sono lunghe circa 2-12 cm, di colore verde lucido in alcune specie, argenteo-pelose in altre; la forma delle foglie varia dall'ovale al lanceolato stretto.
I fiori sono di colore giallo o rosa bianco e raramente tinto, di diametro 2-4 cm e hanno cinque petali. Sbocciano fra aprile e maggio, fino ad una quota di 1 000 metri.
Il frutto si chiama pera; possiede forma caratteristica detta appunto "a pera", con base tondeggiante più larga e parte superiore, vicino al picciolo, più stretta. Le dimensioni sono variabili, secondo le qualità, con diametro a partire da 1-4 cm, fino a lunghezze di circa 18 cm e larghezza 8.
I peri sono nativi delle regioni temperate del vecchio Mondo, dall'Europa occidentale e dall'Africa del Nord fino all'Asia orientale.
Gran parte delle specie tollerano il freddo polare, con temperature fra −25 °C e −40 °C in inverno, tranne le specie sempreverdi, che tollerano solo temperature fino a −15 °C.
Sono alberi di medie dimensioni, che raggiungono i 10-17 metri. La maggior parte dei Pyrus sono decidui, ma una o due specie nell'Asia sud-orientale sono sempreverdi. Ne esistono sia di piccoli sia di grandi.
Le foglie sono lunghe circa 2-12 cm, di colore verde lucido in alcune specie, argenteo-pelose in altre; la forma delle foglie varia dall'ovale al lanceolato stretto.
I fiori sono di colore giallo o rosa bianco e raramente tinto, di diametro 2-4 cm e hanno cinque petali. Sbocciano fra aprile e maggio, fino ad una quota di 1 000 metri.
Il frutto si chiama pera; possiede forma caratteristica detta appunto "a pera", con base tondeggiante più larga e parte superiore, vicino al picciolo, più stretta. Le dimensioni sono variabili, secondo le qualità, con diametro a partire da 1-4 cm, fino a lunghezze di circa 18 cm e larghezza 8.
I peri sono nativi delle regioni temperate del vecchio Mondo, dall'Europa occidentale e dall'Africa del Nord fino all'Asia orientale.
Gran parte delle specie tollerano il freddo polare, con temperature fra −25 °C e −40 °C in inverno, tranne le specie sempreverdi, che tollerano solo temperature fino a −15 °C.
Il pesco (Prunus persica (L.) Batsch) è un albero da frutto della famiglia Rosacee che produce un frutto commestibile chiamato pesca
Il pesco è un albero originario della Cina, dove fu considerato simbolo d'immortalità, e i cui fiori sono stati celebrati da poeti, pittori, cantanti, scrittori e registi cinematografici. Dall'Oriente il pesco giunse in Persia, donde giunse in Europa; da lì deriva infatti il nome della specie, ovvero "Prunus della Persia", significato ripreso ancor oggi in molti dialetti e lingue d'Italia. In Egitto la pesca era sacra ad Arpocrate, dio del silenzio e dell'infanzia, tanto che ancora oggi le guance dei bambini vengono paragonate alle pesche, per la loro morbidezza e carnosità. Il frutto arrivò a Roma nel I secolo d.C., ma si era già diffuso in tutto il bacino del Mar Mediterraneo grazie ad Alessandro Magno. Pare infatti, secondo lo scrittore romano Rutilio Tauro Emiliano Palladio, che egli ne fosse rimasto affascinato quando lo vide per la prima volta nei giardini di re Dario III, durante la spedizione contro la Persia
Il pesco è un albero che può raggiungere un'altezza di 4-8 metri, con corteccia leggermente scabra di colore marrone. I giovani getti sono di colore verde, spesso sfumato di rosso. Le foglie sono lanceolate appuntite, alterne, i fiori ermafroditi sono portati in zona apicale sui rami giovani, ma non sui polloni di sviluppo.
Molte parti della pianta, come corteccia, radici, foglie e semi, contengono piccole quantità di sostanze da cui derivano cianuri, tossici, anche se per il modesto contenuto tali sostanze sono state usate tradizionalmente (soprattutto le foglie) per aromatizzare i liquori, per il loro sapore gradevolmente amaro. La pianta ha la tendenza alla stabilizzazione apicale, cioè nella potatura deve essere rispettata la presenza di un apice dominante. Se l'apice è rimosso o spuntato la pianta tende a riaffermare tale dominanza di un apice, producendo masse di polloni intermedi non produttivi. I fiori sono di colore rosa, ma esiste una notevole differenza tra le varietà: i petali possono essere piccoli e stretti o ampi e larghi; se hanno all'interno dei petali un colore più scuro-aranciato, si avranno frutti a polpa gialla; se l'interno dei petali, pur sempre rosa, è sfumato in chiaro i frutti saranno a polpa bianca.
Le pesche (pronuncia al singolare /ˈpɛska/, da pèssica, variante del lat. classico persica(m)) sono drupe carnose, succose e zuccherine, hanno la buccia di colore giallo-rossastra ma anche bruna, che può essere sottile e vellutata o liscia (nettarine). La polpa è dolcissima e profumata e, secondo la varietà, può essere gialla o bianca con venature rosse più evidenti in prossimità del nocciolo. Sono state selezionate varietà a polpa bianca con il colore rosso esteso a tutta o quasi la polpa.
Il pesco è un albero originario della Cina, dove fu considerato simbolo d'immortalità, e i cui fiori sono stati celebrati da poeti, pittori, cantanti, scrittori e registi cinematografici. Dall'Oriente il pesco giunse in Persia, donde giunse in Europa; da lì deriva infatti il nome della specie, ovvero "Prunus della Persia", significato ripreso ancor oggi in molti dialetti e lingue d'Italia. In Egitto la pesca era sacra ad Arpocrate, dio del silenzio e dell'infanzia, tanto che ancora oggi le guance dei bambini vengono paragonate alle pesche, per la loro morbidezza e carnosità. Il frutto arrivò a Roma nel I secolo d.C., ma si era già diffuso in tutto il bacino del Mar Mediterraneo grazie ad Alessandro Magno. Pare infatti, secondo lo scrittore romano Rutilio Tauro Emiliano Palladio, che egli ne fosse rimasto affascinato quando lo vide per la prima volta nei giardini di re Dario III, durante la spedizione contro la Persia
Il pesco è un albero che può raggiungere un'altezza di 4-8 metri, con corteccia leggermente scabra di colore marrone. I giovani getti sono di colore verde, spesso sfumato di rosso. Le foglie sono lanceolate appuntite, alterne, i fiori ermafroditi sono portati in zona apicale sui rami giovani, ma non sui polloni di sviluppo.
Molte parti della pianta, come corteccia, radici, foglie e semi, contengono piccole quantità di sostanze da cui derivano cianuri, tossici, anche se per il modesto contenuto tali sostanze sono state usate tradizionalmente (soprattutto le foglie) per aromatizzare i liquori, per il loro sapore gradevolmente amaro. La pianta ha la tendenza alla stabilizzazione apicale, cioè nella potatura deve essere rispettata la presenza di un apice dominante. Se l'apice è rimosso o spuntato la pianta tende a riaffermare tale dominanza di un apice, producendo masse di polloni intermedi non produttivi. I fiori sono di colore rosa, ma esiste una notevole differenza tra le varietà: i petali possono essere piccoli e stretti o ampi e larghi; se hanno all'interno dei petali un colore più scuro-aranciato, si avranno frutti a polpa gialla; se l'interno dei petali, pur sempre rosa, è sfumato in chiaro i frutti saranno a polpa bianca.
Le pesche (pronuncia al singolare /ˈpɛska/, da pèssica, variante del lat. classico persica(m)) sono drupe carnose, succose e zuccherine, hanno la buccia di colore giallo-rossastra ma anche bruna, che può essere sottile e vellutata o liscia (nettarine). La polpa è dolcissima e profumata e, secondo la varietà, può essere gialla o bianca con venature rosse più evidenti in prossimità del nocciolo. Sono state selezionate varietà a polpa bianca con il colore rosso esteso a tutta o quasi la polpa.
Pino (Pinus L., 1753) è il nome comune di un genere di alberi e arbusti sempreverdi, appartenente alla famiglia Pinaceae. A questo genere appartengono circa 120 specie.
Gli aghi (cioè le foglie del pino) sono riuniti in gruppi di 2, 3 o 5 che nelle piante adulte non sono inserite direttamente nel ramo (contrariamente agli abeti) ma su corti rametti detti brachiblasti. Sono specie sempreverdi. Durante lo sviluppo di una pianta si possono osservare 3 tipi di foglie:
giovanili - compaiono al primo anno, sono appiattite e disposte singolarmente a spirale sul ramo; vivono 2-3 anni;
eufille - sono foglie squamiformi portate in modo spiralato lungo i macroblasti;
microfilli - sono le foglie aghiformi definitive portate a fascetti sui brachiblasti.
Le specie del genere Pinus sono monoiche: i microsporofilli sono riuniti in coni maschili che portano da 2 a 20 sacche polliniche, i coni femminili portano macrosporofilli con squame copritrici sterili e squame ovulifere (fertili), ognuna con 2 ovuli. Dopo la fecondazione i coni femminili lignificano trasformandosi in pigne che portano i semi.
In Italia sono presenti il pino silvestre, il pino cembro e il pino mugo nelle zone alpine; il pino mugo, il pino nero e il pino loricato in talune ristrette aree appenniniche; il pino marittimo, il pino domestico, il pino calabro e il pino d'Aleppo nella zona mediterranea.
Assieme agli abeti caratterizzano i boschi di alta montagna.
Gli aghi (cioè le foglie del pino) sono riuniti in gruppi di 2, 3 o 5 che nelle piante adulte non sono inserite direttamente nel ramo (contrariamente agli abeti) ma su corti rametti detti brachiblasti. Sono specie sempreverdi. Durante lo sviluppo di una pianta si possono osservare 3 tipi di foglie:
giovanili - compaiono al primo anno, sono appiattite e disposte singolarmente a spirale sul ramo; vivono 2-3 anni;
eufille - sono foglie squamiformi portate in modo spiralato lungo i macroblasti;
microfilli - sono le foglie aghiformi definitive portate a fascetti sui brachiblasti.
Le specie del genere Pinus sono monoiche: i microsporofilli sono riuniti in coni maschili che portano da 2 a 20 sacche polliniche, i coni femminili portano macrosporofilli con squame copritrici sterili e squame ovulifere (fertili), ognuna con 2 ovuli. Dopo la fecondazione i coni femminili lignificano trasformandosi in pigne che portano i semi.
In Italia sono presenti il pino silvestre, il pino cembro e il pino mugo nelle zone alpine; il pino mugo, il pino nero e il pino loricato in talune ristrette aree appenniniche; il pino marittimo, il pino domestico, il pino calabro e il pino d'Aleppo nella zona mediterranea.
Assieme agli abeti caratterizzano i boschi di alta montagna.
Populus L., 1753 è un genere di piante arboree della famiglia Salicaceae, che comprende una sessantina di specie, originarie perlopiù dell'emisfero settentrionale, comunemente note come pioppi.
L'altezza dei pioppi va dai 15 ai 30 metri e oltre, con fusti che possono superare i 2,5 metri di circonferenza.
La corteccia degli individui giovani è liscia, con colorazioni che vanno dal bianco al verdastro al grigio scuro, spesso ricco di lenticelle; sugli esemplari più vecchi, diviene generalmente rugosa e profondamente fessurata.
I germogli sono robusti e sono presenti le gemme apicali (contrariamente ai "cugini" salici). Le foglie sono disposte a spirale e la loro forma varia da triangolare a circolare o, più raramente, lobata, con lunghi piccioli.
Nelle specie comprese nelle sezioni Populus e Aegiros i piccioli sono appiattiti, sicché il vento può facilmente muovere le foglie dando l'impressione che l'albero "tremi". Le dimensioni delle foglie variano facilmente da individuo a individuo e spesso cambiano colore in autunno diventando gialle o oro.
Si tratta di piante solitamente dioiche, anche se alcune specie sono monoiche; le piante femminili e maschili sono facilmente distinguibili: le prime hanno rami grandi, chiome voluminose e grosse gemme, mentre le altre sono più slanciate e hanno gemme più piccole ma più numerose; queste notevole diversità ha fatto sì che in passato i sessi venissero erroneamente classificati come due specie diverse.
L'età riproduttiva comincia a 10-15 anni. I fiori compaiono all'inizio della primavera e prima delle foglie e sono raccolte in infiorescenze ad amento allungati, pendenti, sessili o peduncolate. Quelli maschili sono più corti e tozzi e compaiono prima di quelli femminili che hanno spighe più lunghe e più pendenti. I frutti sono costituiti da capsule, verdi o bruno-rossicci, e maturano tra metà primavera e metà estate. Contengono numerosi piccoli semi marroncini che poi vengono dispersi dal vento tramite una sorta di pappo (da cui il nome anglosassone di cottontree "albero del cotone").
I pioppi della sezione Aegiros sono diffusi negli ambienti umidi e nelle zone ripariali. Quelli della sezione Populus sono probabilmente le latifoglie più diffuse nell'emisfero boreale.
L'altezza dei pioppi va dai 15 ai 30 metri e oltre, con fusti che possono superare i 2,5 metri di circonferenza.
La corteccia degli individui giovani è liscia, con colorazioni che vanno dal bianco al verdastro al grigio scuro, spesso ricco di lenticelle; sugli esemplari più vecchi, diviene generalmente rugosa e profondamente fessurata.
I germogli sono robusti e sono presenti le gemme apicali (contrariamente ai "cugini" salici). Le foglie sono disposte a spirale e la loro forma varia da triangolare a circolare o, più raramente, lobata, con lunghi piccioli.
Nelle specie comprese nelle sezioni Populus e Aegiros i piccioli sono appiattiti, sicché il vento può facilmente muovere le foglie dando l'impressione che l'albero "tremi". Le dimensioni delle foglie variano facilmente da individuo a individuo e spesso cambiano colore in autunno diventando gialle o oro.
Si tratta di piante solitamente dioiche, anche se alcune specie sono monoiche; le piante femminili e maschili sono facilmente distinguibili: le prime hanno rami grandi, chiome voluminose e grosse gemme, mentre le altre sono più slanciate e hanno gemme più piccole ma più numerose; queste notevole diversità ha fatto sì che in passato i sessi venissero erroneamente classificati come due specie diverse.
L'età riproduttiva comincia a 10-15 anni. I fiori compaiono all'inizio della primavera e prima delle foglie e sono raccolte in infiorescenze ad amento allungati, pendenti, sessili o peduncolate. Quelli maschili sono più corti e tozzi e compaiono prima di quelli femminili che hanno spighe più lunghe e più pendenti. I frutti sono costituiti da capsule, verdi o bruno-rossicci, e maturano tra metà primavera e metà estate. Contengono numerosi piccoli semi marroncini che poi vengono dispersi dal vento tramite una sorta di pappo (da cui il nome anglosassone di cottontree "albero del cotone").
I pioppi della sezione Aegiros sono diffusi negli ambienti umidi e nelle zone ripariali. Quelli della sezione Populus sono probabilmente le latifoglie più diffuse nell'emisfero boreale.
Il pruno europeo, chiamato anche prugno o susino (Prunus domestica L., 1753), è una pianta della famiglia delle Rosacee che produce i frutti noti col nome di prugna o susina.
Il frutto contiene le vitamine A-B1-B2 e C e alcuni sali minerali: il potassio, il fosforo, il calcio e il magnesio. La polpa della susina è utile al fegato per compiere il processo della secrezione biliare
Originario dell’Asia, nello specifico della zona del Caucaso, in seguito cominciò ad essere coltivato anche in Siria, principalmente a Damasco. I Romani, verso il 150 a.C., lo introdussero nell'area del Mediterraneo, ma furono i Cavalieri della Prima Crociata a portarlo in tutta l’Europa intorno al 1200 d.C., dapprima in Francia, poi in Germania e nelle altre regioni. Si spinge (forse inselvatichita) nell'Europa centrale, giungendo con la var. Juliana fino alla Danimarca e alla Scandinavia meridionale. Il sostantivo prugna è da preferire per nominare i frutti allungati del pruno domestico, un albero coltivato in Europa da tempi più remoti come si può evincere anche dal confronto con altre lingue neolatine (francese o romeno ad esempio). Susina è il nome corretto dei frutti tondi di Prunus salicina di origine probabilmente cinese e arrivato nelle campagne europee più recentemente.
L'albero del pruno ha la tipica forma ad ombrello o ad alberello, di medie dimensioni: da 3-4 fino a 6-8 metri d’altezza secondo la varietà.
Talvolta nodoso, presenta fiori solitamente bianchi che sorgono già all'inizio della primavera.
I frutti di forma ovale o sferica maturano da giugno a fine settembre a seconda delle varietà e la raccolta viene effettuata in più riprese. I frutti possono giungere sino a 8 cm di grandezza e sono solitamente di sapore dolce, anche se alcune varietà si presentano aspre e necessitano di essere cotte con zucchero per essere commestibili. Tutte le varietà di frutti di Prunus contengono al loro interno un seme di notevoli dimensioni, che non è commestibile.
Il frutto contiene le vitamine A-B1-B2 e C e alcuni sali minerali: il potassio, il fosforo, il calcio e il magnesio. La polpa della susina è utile al fegato per compiere il processo della secrezione biliare
Originario dell’Asia, nello specifico della zona del Caucaso, in seguito cominciò ad essere coltivato anche in Siria, principalmente a Damasco. I Romani, verso il 150 a.C., lo introdussero nell'area del Mediterraneo, ma furono i Cavalieri della Prima Crociata a portarlo in tutta l’Europa intorno al 1200 d.C., dapprima in Francia, poi in Germania e nelle altre regioni. Si spinge (forse inselvatichita) nell'Europa centrale, giungendo con la var. Juliana fino alla Danimarca e alla Scandinavia meridionale. Il sostantivo prugna è da preferire per nominare i frutti allungati del pruno domestico, un albero coltivato in Europa da tempi più remoti come si può evincere anche dal confronto con altre lingue neolatine (francese o romeno ad esempio). Susina è il nome corretto dei frutti tondi di Prunus salicina di origine probabilmente cinese e arrivato nelle campagne europee più recentemente.
L'albero del pruno ha la tipica forma ad ombrello o ad alberello, di medie dimensioni: da 3-4 fino a 6-8 metri d’altezza secondo la varietà.
Talvolta nodoso, presenta fiori solitamente bianchi che sorgono già all'inizio della primavera.
I frutti di forma ovale o sferica maturano da giugno a fine settembre a seconda delle varietà e la raccolta viene effettuata in più riprese. I frutti possono giungere sino a 8 cm di grandezza e sono solitamente di sapore dolce, anche se alcune varietà si presentano aspre e necessitano di essere cotte con zucchero per essere commestibili. Tutte le varietà di frutti di Prunus contengono al loro interno un seme di notevoli dimensioni, che non è commestibile.
Quercus L., 1753 è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Fagaceae, comprendente alberi comunemente chiamati querce. Le querce sono specie chiave in un'ampia gamma di habitat, dal mediterraneo alla foresta pluviale subtropicale.
Il genere Quercus comprende molte specie di alberi spontanei in Italia. In molti casi il portamento è imponente anche se ci sono specie arbustive-arboree (es. quercus coccifera). Le foglie, alterne, sono talvolta lobate, talvolta dentate e sulla stessa pianta possono avere forme differenti, per la differenza del fogliame giovanile rispetto a quello adulto.
Le querce hanno fiori unisessuali e sono piante monoiche, ovvero la stessa pianta porta sia i fiori maschili che quelli femminili. I fiori maschili sono riuniti in amenti di colore giallo, quelli femminili sono di colore verde. Il frutto è la ghianda.
Il genere Quercus è originario dell'emisfero settentrionale e comprende specie decidue e sempreverdi che si estendono dalle latitudini temperate fredde a quelle tropicali. L'areale del genere Quercus comprende buona parte dell'emisfero settentrionale, estendendosi dalla zona temperata a quella tropicale d'America, Europa, Nord Africa e Asia.
L'America ha il maggior numero di specie di querce, con circa 160 specie in Messico, di cui 109 endemiche, e circa 90 negli Stati Uniti. La seconda più grande area di diversità delle querce è la Cina, con circa 100 specie.
Esemplare giovane di Quercia "foglia di Nespolo" (Quercus rysophylla) originaria del Messico ai Parchi di Nervi. La pianta del gruppo delle Quercus Lobata può arrivare a 25 m; le foglie, lunghe sino 21 cm assomigliano a quelle del Nespolo del Giappone (Rhaphiolepis bibas e Eriobotrya Japonica). Ha ghiande biennali
In Europa durante l'ultima era glaciale le popolazioni di Quercus sono state confinate in tre zone rifugio situate in Spagna, in Italia e nei Balcani per poi ricolonizzare il territorio del continente europeo. Lo scienziato francese Antoine Kremer ha studiato, tramite il confronto dei dati genetici e dei dati palinologici dei pollini fossili delle due querce più diffuse in Europa, Quercus robur e Quercus petraea, le vie di colonizzazione intraprese dai vari lignaggi. I rilievi, in particolare le Alpi, hanno a volte rallentato o deviato l'avanzata, ma la traiettoria sud-nord è resa costantemente visibile. In questo modo le querce rifugiatesi nella penisola iberica e in Italia hanno colonizzato tutta la zona situata ad ovest lungo l'asse Tolosa-Colonia-Amsterdam, e in maniera esclusiva le isole britanniche. Le querce rifugiatesi nei Balcani sono progredite verso l'Europa orientale e la Russia. Dall'analisi palinologica è emerso un dato sorprendente che riguarda la velocità di questa progressione: in media le querce sono avanzate di 380 m all'anno, con punte massime di 500 m all'anno in certi periodi
Il genere Quercus comprende molte specie di alberi spontanei in Italia. In molti casi il portamento è imponente anche se ci sono specie arbustive-arboree (es. quercus coccifera). Le foglie, alterne, sono talvolta lobate, talvolta dentate e sulla stessa pianta possono avere forme differenti, per la differenza del fogliame giovanile rispetto a quello adulto.
Le querce hanno fiori unisessuali e sono piante monoiche, ovvero la stessa pianta porta sia i fiori maschili che quelli femminili. I fiori maschili sono riuniti in amenti di colore giallo, quelli femminili sono di colore verde. Il frutto è la ghianda.
Il genere Quercus è originario dell'emisfero settentrionale e comprende specie decidue e sempreverdi che si estendono dalle latitudini temperate fredde a quelle tropicali. L'areale del genere Quercus comprende buona parte dell'emisfero settentrionale, estendendosi dalla zona temperata a quella tropicale d'America, Europa, Nord Africa e Asia.
L'America ha il maggior numero di specie di querce, con circa 160 specie in Messico, di cui 109 endemiche, e circa 90 negli Stati Uniti. La seconda più grande area di diversità delle querce è la Cina, con circa 100 specie.
Esemplare giovane di Quercia "foglia di Nespolo" (Quercus rysophylla) originaria del Messico ai Parchi di Nervi. La pianta del gruppo delle Quercus Lobata può arrivare a 25 m; le foglie, lunghe sino 21 cm assomigliano a quelle del Nespolo del Giappone (Rhaphiolepis bibas e Eriobotrya Japonica). Ha ghiande biennali
In Europa durante l'ultima era glaciale le popolazioni di Quercus sono state confinate in tre zone rifugio situate in Spagna, in Italia e nei Balcani per poi ricolonizzare il territorio del continente europeo. Lo scienziato francese Antoine Kremer ha studiato, tramite il confronto dei dati genetici e dei dati palinologici dei pollini fossili delle due querce più diffuse in Europa, Quercus robur e Quercus petraea, le vie di colonizzazione intraprese dai vari lignaggi. I rilievi, in particolare le Alpi, hanno a volte rallentato o deviato l'avanzata, ma la traiettoria sud-nord è resa costantemente visibile. In questo modo le querce rifugiatesi nella penisola iberica e in Italia hanno colonizzato tutta la zona situata ad ovest lungo l'asse Tolosa-Colonia-Amsterdam, e in maniera esclusiva le isole britanniche. Le querce rifugiatesi nei Balcani sono progredite verso l'Europa orientale e la Russia. Dall'analisi palinologica è emerso un dato sorprendente che riguarda la velocità di questa progressione: in media le querce sono avanzate di 380 m all'anno, con punte massime di 500 m all'anno in certi periodi
Salix L., 1753 è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Salicacee. Originario dell'Europa, Asia e Nord America, comprende oltre 450 specie di alberi, arbusti e piante perenni legnose o fruticose, generalmente a foglia caduca; le specie arboree arrivano ai 20 metri di altezza.
Le specie spontanee presenti in Italia sono poco più di 30, molte di difficile identificazione grazie alla notevole facilità con cui si formano ibridi con caratteristiche intermedie
Le specie spontanee presenti in Italia sono poco più di 30, molte di difficile identificazione grazie alla notevole facilità con cui si formano ibridi con caratteristiche intermedie
Sambucus L. è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Viburnacee
Comprende specie arbustive di medio-grandi dimensioni, talvolta in forma di piccolo albero con altezza di 5-10 metri. Presenta rami con midollo molto grosso, bianco, leggerissimo e compatto. La corteccia dei rami stessi presenta rade e grosse lenticelle.
Le foglie sono opposte, imparipennate, di solito con 5 foglioline ovato-lanceolate ed appuntite, seghettate ai margini.
I fiori sbocciano in primavera-estate, sono piccoli, odorosi, biancastri, a 5 lobi petaliformi, riuniti numerosissimi in infiorescenze ombrelliformi molto ampie.
I frutti sono piccole bacche globose nero-violacee (S. nigra) o rosse (S. racemosa) che contengono un succo di colore viola-porporino scuro che viene impiegato per colorare vini e come esca per la pesca dei cavedani. La maturazione delle bacche va da inizio agosto a metà settembre.
Tutte le parti della pianta sono tossiche per la presenza di cianuro e vari alcaloidi. Fanno eccezione i fiori e le bacche mature, ma non i semi al loro interno. Nella preparazione di confetture la cottura o la macerazione delle bacche sono sufficienti a far sì che i composti cianogenetici si volatilizzino completamente. Nel caso di un'ingestione accidentale i sintomi dell'intossicazione sono gli stessi dati dall'ingestione delle mandorle amare che egualmente contengono composti cianogenetici. Questa tossicità non ha ''effetto'' su alcuni pesci, come i cavedani. Infatti le bacche di sambuco vengono usate anche come esca per questa specie di pesce
Comprende specie arbustive di medio-grandi dimensioni, talvolta in forma di piccolo albero con altezza di 5-10 metri. Presenta rami con midollo molto grosso, bianco, leggerissimo e compatto. La corteccia dei rami stessi presenta rade e grosse lenticelle.
Le foglie sono opposte, imparipennate, di solito con 5 foglioline ovato-lanceolate ed appuntite, seghettate ai margini.
I fiori sbocciano in primavera-estate, sono piccoli, odorosi, biancastri, a 5 lobi petaliformi, riuniti numerosissimi in infiorescenze ombrelliformi molto ampie.
I frutti sono piccole bacche globose nero-violacee (S. nigra) o rosse (S. racemosa) che contengono un succo di colore viola-porporino scuro che viene impiegato per colorare vini e come esca per la pesca dei cavedani. La maturazione delle bacche va da inizio agosto a metà settembre.
Tutte le parti della pianta sono tossiche per la presenza di cianuro e vari alcaloidi. Fanno eccezione i fiori e le bacche mature, ma non i semi al loro interno. Nella preparazione di confetture la cottura o la macerazione delle bacche sono sufficienti a far sì che i composti cianogenetici si volatilizzino completamente. Nel caso di un'ingestione accidentale i sintomi dell'intossicazione sono gli stessi dati dall'ingestione delle mandorle amare che egualmente contengono composti cianogenetici. Questa tossicità non ha ''effetto'' su alcuni pesci, come i cavedani. Infatti le bacche di sambuco vengono usate anche come esca per questa specie di pesce
Sorbus L. è un genere di piante della famiglia delle Rosacee.
Comprende alberi e arbusti che producono frutti simili, ma molto diversi per grandezza e anche per colore.
Fusto
A seconda della specie può essere un arbusto, un alberello o anche un albero alto fino a 12 metri. Ha la corteccia grigia con chiazze bianche; rami giovani pubescenti, poi glabri, bruno-rossicci.
Foglie
Le foglie sono alterne, picciolate, semplici o composte secondo la specie, spesso coriacee di forma da ellittica ad ovata con apice acuto e margini irregolarmente seghettati. In alcune specie hanno la pagina superiore color verde-scuro e quella inferiore color bianco-argenteo.
Fiori
Hanno infiorescenze a corimbi eretti di 5–8 cm con fiori bianchi. Fioriscono a maggio-giugno.
Frutti
I frutti sono pomi ovoidali o rotondi, di dimensioni variabili da 1 a 3 cm a seconda della specie, rosso-aranciati quando maturi (di color nocciola invece nel ciavardello)
Il genere è ampiamente diffuso in tutto l'emisfero boreale (Nord America, Europa e Asia)
È ampiamente diffuso nei boschi e nei luoghi rocciosi. Nella regione mediterranea è diffuso anche sui monti.
I frutti di alcune specie sono stati usati in erboristeria sin dall'antichità, soprattutto per il loro alto contenuto di vitamina C.
Comprende alberi e arbusti che producono frutti simili, ma molto diversi per grandezza e anche per colore.
Fusto
A seconda della specie può essere un arbusto, un alberello o anche un albero alto fino a 12 metri. Ha la corteccia grigia con chiazze bianche; rami giovani pubescenti, poi glabri, bruno-rossicci.
Foglie
Le foglie sono alterne, picciolate, semplici o composte secondo la specie, spesso coriacee di forma da ellittica ad ovata con apice acuto e margini irregolarmente seghettati. In alcune specie hanno la pagina superiore color verde-scuro e quella inferiore color bianco-argenteo.
Fiori
Hanno infiorescenze a corimbi eretti di 5–8 cm con fiori bianchi. Fioriscono a maggio-giugno.
Frutti
I frutti sono pomi ovoidali o rotondi, di dimensioni variabili da 1 a 3 cm a seconda della specie, rosso-aranciati quando maturi (di color nocciola invece nel ciavardello)
Il genere è ampiamente diffuso in tutto l'emisfero boreale (Nord America, Europa e Asia)
È ampiamente diffuso nei boschi e nei luoghi rocciosi. Nella regione mediterranea è diffuso anche sui monti.
I frutti di alcune specie sono stati usati in erboristeria sin dall'antichità, soprattutto per il loro alto contenuto di vitamina C.
Il tasso (Taxus baccata L., 1753) è un albero dell'ordine delle conifere, molto usato come siepe ornamentale o pianta isolata potata secondo i criteri dell'ars topiaria. È conosciuto anche con il nome di «albero della morte»
Portamento
Albero o arbusto di color verde scuro, largamente piramidale con rami ascendenti o patenti orizzontalmente.
Il tasso è un albero sempreverde di seconda grandezza (tra i 10 e i 20 metri d'altezza), con una crescita molto lenta, per questo motivo in natura spesso si presenta sotto forma di piccolo albero o arbusto, tuttavia in condizioni ottimali può raggiungere i 15–20 metri di altezza; la chioma ha forma globosa irregolare, con rami molto bassi.
Corteccia
È di colore bruno rossastro, inizialmente è liscia ma con l'età si solleva arricciandosi e dividendosi in placche. I giovani rami sono verdi.
Foglie
Le foglie sono lineari, leggermente arcuate, lunghe fino a 3 cm e di colore verde molto scuro nella pagina superiore, più chiare inferiormente; sono inserite sui rami con un andamento a spirale, in due file opposte. Sono molto velenose.
Sporofilli
È una specie per lo più dioica, ma esistono segnalazioni di individui monoici. Gli sporofilli maschili sono raggruppati in amenti, quelli femminili si trasformano in arilli. L'impollinazione è anemofila.
Arilli
La pianta, essendo una Pinophyta, non produce frutti (solamente le Angiosperme ne producono).
Quelli che sembrano i frutti in realtà sono degli arilli, ovvero delle escrescenze carnose che ricoprono il seme. Questo tessuto carnoso deriva dallo sviluppo delle squame basali del piccolo cono femminile. Inizialmente verdi, rossi a maturità, contengono un solo seme, duro e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile.
Gli uccelli favoriscono la diffusione della pianta: mangiano gli arilli e ne digeriscono la polpa, mentre i semi veri e propri riescono ad attraversare intatti il processo digestivo e, espulsi, si insediano nel terreno dando origine a un nuovo esemplare. Il tasso è quindi una pianta zoofila (o a riproduzione ornitogama), che si serve degli animali per riprodursi: senza gli animali gli arilli cadrebbero al suolo e non crescerebbero per la mancanza di luce e la concorrenza con la pianta madre per i sali minerali del terreno. Un seme di tasso può impiegare fino a due anni dalla messa a dimora per germinare, pertanto i propagatori utilizzano principalmente le talee, che comunque richiedono alte concentrazioni di ormone radicale per sviluppare le prime radici
L'areale di questa specie comprende le zone dall'Europa settentrionale al Nordafrica e al Caucaso.
Preferisce i luoghi umidi e freschi, ombrosi, con terreno calcareo. È specie minoritaria presente nella faggeta, ma l'intenso utilizzo nel passato ne ha limitato oggi la presenza.
In Italia si trova in zone montane, non molto frequentemente. Nella foresta Umbra del Gargano, nel Monte Capanne dell'isola d'Elba, sulle Alpi Apuane[3] nella zona di Cardoso, nella zona di Palena, Pescocostanzo (AQ), nella Vallelonga Prati D'Angro - Villavallelonga (AQ), nella Macchia delle Tassinete a Cingoli, nella Riserva naturale guidata Zompo lo Schioppo (AQ), in alcune zone dei Monti Lepini e sui monti Ernici di Sora (Fr), sono presenti diversi esemplari imponenti; un esemplare monumentale è inoltre presente nelle vicinanze del Monastero di Fonte Avellana.
Il Parco dei Nebrodi ospita, all'interno del bosco della Tassita, alcuni annosi esemplari all'interno di una faggeta del versante settentrionale di Monte Pomiere. Numerosi esemplari si trovano anche nell'Area naturale protetta di interesse locale Nuclei di Taxus Baccata di Pratieghi.
In Sardegna, l'area di Sos Nibberos copre una superficie di circa 7 ettari che ricade completamente all'interno della Foresta Demaniale Monte Pisanu, presso il comune di Bono (SS). È presente anche nel parco Aymerich di Laconi. È stata dichiarata "monumento Naturale" con il decreto n. 24 del 29 gennaio 1994 dall'Assessorato della Difesa dell'Ambiente della Regione Sarda ai sensi della L.R. n. 31/1989. Rappresenta una formazione vegetale di notevole importanza scientifica, storico-culturale e paesaggistica, popolata da tassi pressoché millenari che raggiungono anche un metro di diametro e altezze sui 15 metri. Altri areali di diffusione sono il Marghine e il Montiferru, dove è chiamato Linu Ruju.
Portamento
Albero o arbusto di color verde scuro, largamente piramidale con rami ascendenti o patenti orizzontalmente.
Il tasso è un albero sempreverde di seconda grandezza (tra i 10 e i 20 metri d'altezza), con una crescita molto lenta, per questo motivo in natura spesso si presenta sotto forma di piccolo albero o arbusto, tuttavia in condizioni ottimali può raggiungere i 15–20 metri di altezza; la chioma ha forma globosa irregolare, con rami molto bassi.
Corteccia
È di colore bruno rossastro, inizialmente è liscia ma con l'età si solleva arricciandosi e dividendosi in placche. I giovani rami sono verdi.
Foglie
Le foglie sono lineari, leggermente arcuate, lunghe fino a 3 cm e di colore verde molto scuro nella pagina superiore, più chiare inferiormente; sono inserite sui rami con un andamento a spirale, in due file opposte. Sono molto velenose.
Sporofilli
È una specie per lo più dioica, ma esistono segnalazioni di individui monoici. Gli sporofilli maschili sono raggruppati in amenti, quelli femminili si trasformano in arilli. L'impollinazione è anemofila.
Arilli
La pianta, essendo una Pinophyta, non produce frutti (solamente le Angiosperme ne producono).
Quelli che sembrano i frutti in realtà sono degli arilli, ovvero delle escrescenze carnose che ricoprono il seme. Questo tessuto carnoso deriva dallo sviluppo delle squame basali del piccolo cono femminile. Inizialmente verdi, rossi a maturità, contengono un solo seme, duro e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile.
Gli uccelli favoriscono la diffusione della pianta: mangiano gli arilli e ne digeriscono la polpa, mentre i semi veri e propri riescono ad attraversare intatti il processo digestivo e, espulsi, si insediano nel terreno dando origine a un nuovo esemplare. Il tasso è quindi una pianta zoofila (o a riproduzione ornitogama), che si serve degli animali per riprodursi: senza gli animali gli arilli cadrebbero al suolo e non crescerebbero per la mancanza di luce e la concorrenza con la pianta madre per i sali minerali del terreno. Un seme di tasso può impiegare fino a due anni dalla messa a dimora per germinare, pertanto i propagatori utilizzano principalmente le talee, che comunque richiedono alte concentrazioni di ormone radicale per sviluppare le prime radici
L'areale di questa specie comprende le zone dall'Europa settentrionale al Nordafrica e al Caucaso.
Preferisce i luoghi umidi e freschi, ombrosi, con terreno calcareo. È specie minoritaria presente nella faggeta, ma l'intenso utilizzo nel passato ne ha limitato oggi la presenza.
In Italia si trova in zone montane, non molto frequentemente. Nella foresta Umbra del Gargano, nel Monte Capanne dell'isola d'Elba, sulle Alpi Apuane[3] nella zona di Cardoso, nella zona di Palena, Pescocostanzo (AQ), nella Vallelonga Prati D'Angro - Villavallelonga (AQ), nella Macchia delle Tassinete a Cingoli, nella Riserva naturale guidata Zompo lo Schioppo (AQ), in alcune zone dei Monti Lepini e sui monti Ernici di Sora (Fr), sono presenti diversi esemplari imponenti; un esemplare monumentale è inoltre presente nelle vicinanze del Monastero di Fonte Avellana.
Il Parco dei Nebrodi ospita, all'interno del bosco della Tassita, alcuni annosi esemplari all'interno di una faggeta del versante settentrionale di Monte Pomiere. Numerosi esemplari si trovano anche nell'Area naturale protetta di interesse locale Nuclei di Taxus Baccata di Pratieghi.
In Sardegna, l'area di Sos Nibberos copre una superficie di circa 7 ettari che ricade completamente all'interno della Foresta Demaniale Monte Pisanu, presso il comune di Bono (SS). È presente anche nel parco Aymerich di Laconi. È stata dichiarata "monumento Naturale" con il decreto n. 24 del 29 gennaio 1994 dall'Assessorato della Difesa dell'Ambiente della Regione Sarda ai sensi della L.R. n. 31/1989. Rappresenta una formazione vegetale di notevole importanza scientifica, storico-culturale e paesaggistica, popolata da tassi pressoché millenari che raggiungono anche un metro di diametro e altezze sui 15 metri. Altri areali di diffusione sono il Marghine e il Montiferru, dove è chiamato Linu Ruju.
Il Tiglio (Tilia L., 1753) è un genere di piante arboree o arbustive della famiglia delle malvacee, originario dell'emisfero boreale
Sono alberi di notevoli dimensioni, hanno una vita lunga (arrivano fino a 250 anni o più), dall'apparato radicale espanso, profondo. Possiedono un tronco robusto, alla cui base si sviluppano frequentemente numerosi polloni, e chioma larga, ramosa e tondeggiante. La corteccia dapprima liscia presenta nel tempo screpolature longitudinali. Hanno foglie alterne, asimmetriche, picciolate con base cordata e acute all'apice, dal margine variamente seghettato.
I fiori, ermafroditi, odorosi, hanno un calice di 5 sepali e una corolla con 5 petali di colore giallognolo, stami numerosi e saldati alla base a formare numerosi ciuffetti; il pistillo è unico con ovario supero pentaloculare; sono riuniti a gruppi di 3 (o anche 2-5) in infiorescenze dai lunghi peduncoli dette antele (cioè infiorescenze in cui i peduncoli fiorali laterali sono più lunghi di quelli centrali). Le infiorescenze sono protette da una brattea fogliacea ovoidale di colore verde-pallido, che rimane nell'infruttescenza e come un'ala agevola il trasporto a distanza dei frutti. Questi sono delle nucule ovali o globose, della grandezza di un pisello, con la superficie più o meno costoluta, pelosa e con un endocarpo legnoso e resistente, chiamata carcerulo.
Il tiglio vegeta nelle zone dal Castanetum al Fagetum in luoghi freschi e ombreggiati.
Sono alberi di notevoli dimensioni, hanno una vita lunga (arrivano fino a 250 anni o più), dall'apparato radicale espanso, profondo. Possiedono un tronco robusto, alla cui base si sviluppano frequentemente numerosi polloni, e chioma larga, ramosa e tondeggiante. La corteccia dapprima liscia presenta nel tempo screpolature longitudinali. Hanno foglie alterne, asimmetriche, picciolate con base cordata e acute all'apice, dal margine variamente seghettato.
I fiori, ermafroditi, odorosi, hanno un calice di 5 sepali e una corolla con 5 petali di colore giallognolo, stami numerosi e saldati alla base a formare numerosi ciuffetti; il pistillo è unico con ovario supero pentaloculare; sono riuniti a gruppi di 3 (o anche 2-5) in infiorescenze dai lunghi peduncoli dette antele (cioè infiorescenze in cui i peduncoli fiorali laterali sono più lunghi di quelli centrali). Le infiorescenze sono protette da una brattea fogliacea ovoidale di colore verde-pallido, che rimane nell'infruttescenza e come un'ala agevola il trasporto a distanza dei frutti. Questi sono delle nucule ovali o globose, della grandezza di un pisello, con la superficie più o meno costoluta, pelosa e con un endocarpo legnoso e resistente, chiamata carcerulo.
Il tiglio vegeta nelle zone dal Castanetum al Fagetum in luoghi freschi e ombreggiati.
L'olivo, o ulivo, (Olea europaea L., 1753) è un albero da frutto che si presume sia originario dell'Asia Minore e della Siria, poiché in questa regione l'olivo selvatico spontaneo è diffuso sin dall'antichità, formando delle foreste sulla costa meridionale dell'Asia Minore. Qui, appunto, i Fenici cominciarono a coltivarlo scoprendone le sue grandi proprietà, cui diedero il nome speciale di ἔλαια che i Latini resero come olea.
Fu utilizzato fin dall'antichità per l'alimentazione. Le olive, i suoi frutti, sono impiegati per l'estrazione dell'olio di oliva e, in misura minore, per l'impiego diretto nell'alimentazione. A causa del sapore amaro dovuto al contenuto in polifenoli appena raccolte, l'uso delle olive come frutti nell'alimentazione richiede però trattamenti specifici finalizzati alla deamaricazione (riduzione dei principi amari), realizzata con metodi vari. L'olivo svolge preziose funzioni ambientali mitigando i cambiamenti climatici. Appartiene alla famiglia delle Oleacee e al genere Olea.
L'ulivo è un albero sempreverde e un latifoglie, la cui attività vegetativa è pressoché continua, con attenuazione nel periodo invernale. Ha crescita lenta ed è molto longevo: in condizioni climatiche favorevoli può diventare millenario e arrivare ad altezze di 15-20 metri. La pianta comincia a fruttificare dopo 3-4 anni dall'impianto, inizia la piena produttività dopo 9-10 anni e la senescenza è raggiunta dopo i 40-50 anni; a differenza della maggior parte dell'altra frutta, la produzione non diminuisce con alberi vetusti, infatti nel meridione si trovano oliveti secolari. Le radici, per lo più di tipo avventizio, sono espanse e superficiali: in genere non si spingono oltre i 0,7-1 metro di profondità.
Il fusto è cilindrico e contorto, con corteccia di colore grigio o grigio scuro e legno duro e pesante. La ceppaia forma delle strutture globose, dette ovoli, da cui sono emessi ogni anno numerosi polloni basali. La chioma ha una forma conica, con branche fruttifere e rami penduli o patenti (disposti orizzontalmente rispetto al fusto) secondo la varietà.
Le foglie sono opposte, coriacee, semplici, intere, ellittico-lanceolate, con picciolo corto e margine intero, spesso revoluto. La pagina inferiore è di colore bianco-argenteo per la presenza di peli squamiformi. La parte superiore invece è di colore verde scuro. Le gemme sono per lo più di tipo ascellare.
Il fiore ermafrodito, piccolo, con calice di 4 sepali e corolla di petali bianchi. I fiori sono raggruppati in numero di 10–15 in infiorescenze a grappolo, chiamate "mignole", sono emessi all'ascella delle foglie dei rametti dell'anno precedente. La mignolatura ha inizio verso marzo–aprile. La fioritura vera e propria avviene, secondo le cultivar e le zone, da maggio alla prima metà di giugno.
Il frutto è una drupa globosa, ellissoidale o ovoidale, a volte asimmetrica. È formato da una parte "carnosa" (polpa) che contiene dell'olio e dal nocciolo legnoso e rugoso. Il peso del frutto varia tra 1-6 grammi secondo la specie, la tecnica colturale adottata e l'andamento climatico. Ottobre-dicembre è il periodo della raccolta, che dipende dalle coltivazioni e dall'uso che si deve fare: se da olio o da mensa.
Infiorescenze
L'ulivo, pianta di lunga stagionatura, dal profumo intenso, aromatico che richiama quello del suo frutto è caratterizzato dal suo legno durissimo e resistente agli agenti atmosferici e all'umidità. Si presta per la costruzione di mobili, pavimenti, piatti, mortai e posate non assorbendo liquidi. Ideale anche come legna da ardere per stufe e in cucina risulta ottima per pizze e focacce.
L'olivo è una pianta centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, e di tutto l'Occidente.
Si narrano numerose leggende: una di queste è di origine greca e narra di Atena che, nell'intento di benedire gli uomini, piantò la sua lancia nel suolo e ivi crebbe il primo ramoscello d'ulivo; un'altra ci parla di un ulivo raccolto ai confini del mondo da Ercole, in quel luogo nacque il bosco sacro a Zeus, dalle cui fronde venivano intrecciate le corone per i vincitori dei giochi olimpici.
Un altro aneddoto sull'ulivo riguarda invece la colomba che, per annunciare a Noè la fine del diluvio universale, gli portò un ramoscello d'ulivo che teneva stretto nel becco. Il poeta Omero cita l'ulivo varie volte nell'Iliade e nell'Odissea. I ciclopi avevano bastoni e clave che erano fatti col legno d'ulivo. Anche Ulisse ricavò, dal tronco di un grosso ulivo, il palo che conficcò in seguito nell'occhio di Polifemo. Comunque si è appurato che le prime piante selvatiche esistevano sull'isola di Creta fin dal 4000 a.C. e che successivamente i cretesi si sono specializzati nella coltivazione di tale pianta la quale successivamente verrà esportata in tutto il bacino del Mediterraneo.
Fu utilizzato fin dall'antichità per l'alimentazione. Le olive, i suoi frutti, sono impiegati per l'estrazione dell'olio di oliva e, in misura minore, per l'impiego diretto nell'alimentazione. A causa del sapore amaro dovuto al contenuto in polifenoli appena raccolte, l'uso delle olive come frutti nell'alimentazione richiede però trattamenti specifici finalizzati alla deamaricazione (riduzione dei principi amari), realizzata con metodi vari. L'olivo svolge preziose funzioni ambientali mitigando i cambiamenti climatici. Appartiene alla famiglia delle Oleacee e al genere Olea.
L'ulivo è un albero sempreverde e un latifoglie, la cui attività vegetativa è pressoché continua, con attenuazione nel periodo invernale. Ha crescita lenta ed è molto longevo: in condizioni climatiche favorevoli può diventare millenario e arrivare ad altezze di 15-20 metri. La pianta comincia a fruttificare dopo 3-4 anni dall'impianto, inizia la piena produttività dopo 9-10 anni e la senescenza è raggiunta dopo i 40-50 anni; a differenza della maggior parte dell'altra frutta, la produzione non diminuisce con alberi vetusti, infatti nel meridione si trovano oliveti secolari. Le radici, per lo più di tipo avventizio, sono espanse e superficiali: in genere non si spingono oltre i 0,7-1 metro di profondità.
Il fusto è cilindrico e contorto, con corteccia di colore grigio o grigio scuro e legno duro e pesante. La ceppaia forma delle strutture globose, dette ovoli, da cui sono emessi ogni anno numerosi polloni basali. La chioma ha una forma conica, con branche fruttifere e rami penduli o patenti (disposti orizzontalmente rispetto al fusto) secondo la varietà.
Le foglie sono opposte, coriacee, semplici, intere, ellittico-lanceolate, con picciolo corto e margine intero, spesso revoluto. La pagina inferiore è di colore bianco-argenteo per la presenza di peli squamiformi. La parte superiore invece è di colore verde scuro. Le gemme sono per lo più di tipo ascellare.
Il fiore ermafrodito, piccolo, con calice di 4 sepali e corolla di petali bianchi. I fiori sono raggruppati in numero di 10–15 in infiorescenze a grappolo, chiamate "mignole", sono emessi all'ascella delle foglie dei rametti dell'anno precedente. La mignolatura ha inizio verso marzo–aprile. La fioritura vera e propria avviene, secondo le cultivar e le zone, da maggio alla prima metà di giugno.
Il frutto è una drupa globosa, ellissoidale o ovoidale, a volte asimmetrica. È formato da una parte "carnosa" (polpa) che contiene dell'olio e dal nocciolo legnoso e rugoso. Il peso del frutto varia tra 1-6 grammi secondo la specie, la tecnica colturale adottata e l'andamento climatico. Ottobre-dicembre è il periodo della raccolta, che dipende dalle coltivazioni e dall'uso che si deve fare: se da olio o da mensa.
Infiorescenze
L'ulivo, pianta di lunga stagionatura, dal profumo intenso, aromatico che richiama quello del suo frutto è caratterizzato dal suo legno durissimo e resistente agli agenti atmosferici e all'umidità. Si presta per la costruzione di mobili, pavimenti, piatti, mortai e posate non assorbendo liquidi. Ideale anche come legna da ardere per stufe e in cucina risulta ottima per pizze e focacce.
L'olivo è una pianta centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, e di tutto l'Occidente.
Si narrano numerose leggende: una di queste è di origine greca e narra di Atena che, nell'intento di benedire gli uomini, piantò la sua lancia nel suolo e ivi crebbe il primo ramoscello d'ulivo; un'altra ci parla di un ulivo raccolto ai confini del mondo da Ercole, in quel luogo nacque il bosco sacro a Zeus, dalle cui fronde venivano intrecciate le corone per i vincitori dei giochi olimpici.
Un altro aneddoto sull'ulivo riguarda invece la colomba che, per annunciare a Noè la fine del diluvio universale, gli portò un ramoscello d'ulivo che teneva stretto nel becco. Il poeta Omero cita l'ulivo varie volte nell'Iliade e nell'Odissea. I ciclopi avevano bastoni e clave che erano fatti col legno d'ulivo. Anche Ulisse ricavò, dal tronco di un grosso ulivo, il palo che conficcò in seguito nell'occhio di Polifemo. Comunque si è appurato che le prime piante selvatiche esistevano sull'isola di Creta fin dal 4000 a.C. e che successivamente i cretesi si sono specializzati nella coltivazione di tale pianta la quale successivamente verrà esportata in tutto il bacino del Mediterraneo.