Storia
STORIA ANDRATE:
Pare che l’origine del paese sia molto antica: la teoria si basa infatti sul nome del Comune, in quanto deriverebbe dalle parole celtiche “and” e “art”, significanti “terra di confine”; come oggi separa, lungo il corso superiore del torrente Viona, il Canavese dal Biellese, in era precristiana separava i Salassi, popolo tenace e battagliero sottomesso ai Romani solo dopo il 350 a.c. a prezzo di una gran profusione di uomini e mezzi, dagli Ictimuli.
I Salassi, anche se di indole guerriera, erano comunque dediti alla pastorizia e all’agricoltura, grazie alla loro perizia nelle opere irrigue, che li portò a continui contrasti con gli Ictimuli, che invece deviavano le acque del Viona per recuperare l’oro in esse presente; vestigia precristiane sono ancora rintracciabili nel muro di cinta all’ingresso del cimitero (iscrizione funeraria per “Ocno, figlio di Iovone”) e reperti romani sono presenti nel Museo di Andrate.
La difficile accessibilità dal fondo valle preservò per secoli gli andratesi dai flagelli delle guerre e dalle scorribande dei malfattori; ciò permise anche di non erigere un castello.
In epoca medioevale fu feudo del Vescovo d’Ivrea, da cui si affrancò solo nel 1862; al centro del feudo, racchiuso entro mura e chiamato “Villa”, si rapportavano un gran numero di insediamenti, in cui si praticava l’allevamento e un’agricoltura di sussistenza. Gli ultimi anni del 1200 e fino al 1309 furono contraddistinti da una forte contrapposizione con i Vercellesi, che miravano ad espandersi nel Canavese ed eressero una Torre detta della Bastia nel territorio di Chiaverano al confine con quello di Andrate, per il controllo delle acque e delle strade di comunicazione con il Biellese (l’antica via del commercio); la torre fu vissuta come un’usurpazione da chiaveranesi ed andratesi, originando proteste, dispute, sabotaggi, fino all’atto finale con la sua distruzione ad opera di questi ultimi nel 1309.
Fin dal 1410 la vita di Andrate fu autogovernata secondo le disposizioni dello statuto, composto da 145 articoli, pur mantenendo una relativa dipendenza dal vescovo.
La Comunità dipendeva totalmente dell'agricoltura di montagna (anche Canapa) e dell'allevamento; gli artigiani del legno e del ferro erano parte integrante delle comunità agricole.
Nel tempo le attività tradizionali vennero affiancate dalla lavorazione dei metalli, come testimoniato dai ruderi dell’antica fucina Brunero (attiva dalla metà del settecento fino al 1964), i cui reperti sono esposti nell’area prospiciente il Museo etnografico, che dispone di una ricca collezione di oltre settecento oggetti ed attrezzi che testimoniano la vita ed il lavoro di una comunità montana: nelle sale gli oggetti sono presentati sotto forma di laboratori, in modo che il visitatore possa meglio capire e ricordare le attività del passato; una parte dell'esposizione documenta la vita contadina andratese attraverso una raccolta fotografica. Nel parco attrezzato esterno sono visibili anche mezzi agricoli dell'’800 e del primo ‘900 e un torchio a barra.
Il Rial (ruscello), che la tradizione dice fosse stato deviato dal Viona dai Salassi per irrigare il terreno e lavare le sabbie aurifere, era utile alle lavandaie, esistevano le fosse d'acqua per il lavaggio della lana e per la macerazione della canapa, faceva funzionare i mulini e le fucine e forniva l'acqua domestica agli abitanti della Villa.
Ogni manufatto, edificio o alterazione della Natura primitiva, costruito dai valligiani nei secoli, ha un suo senso, una logica perfettamente rispondente alle caratteristiche climatiche ed idrogeologiche locali.
La scoperta delle tecniche di trasformazione nei suoi classici derivati, burro e formaggio, permise di poter conservare e concentrare le proprietà nutrienti del latte in una forma duratura e facilmente trasportabile e commerciabile; inoltre consentì di completare il ciclo produttivo estivo con lo sfruttamento invernale delle scorte accumulate o il loro scambio con i prodotti agricoli ed i manufatti non esistenti in loco, anche grazie al ponte Raisach, che costituiva nei secoli scorsi l'unica via d'accesso al Biellese. Il trasporto di materiali e prodotti avveniva con le gerle o con le lesse; nella seconda metà dell'ottocento si costruirono mulattiere totalmente selciate adatte all'uso.
Le ca veje furono i primi insediamenti montani datati 1700 mentre gli altri arrivarono a fine 1800;
la malga dei balarin deve il suo nome al fatto che bisognava attraversare un ruscello saltando da una pietra all'altra come ballerini!
Balma Pica (grotta delle streghe o delle malghe) dava rifugio durante i temporali ai pastori;
la leggenda dice che si incontravano le streghe per ordine i loro infernali intenti consumando una fumante Polenta!
Le Baite prevedevano la cucina, la stalla, il fienile e il crutin per la conservazione del formaggio.
La fonte di energia era il fuoco, l'acqua corrente era un lusso e la corrente elettrica arrivò nel 1903 (primi nell'AMI). Siccome la quota di Andrate è troppo elevata per la coltivazione della vite gli andratesi acquistavano o coltivavano uve in altre località per poi vinificare.
Nel 1911 Andrate ebbe il picco di abitanti: 1196; poco dopo si registrò una discreta emigrazione degli andratesi verso la Francia, soprattutto come lavoratori per l’edilizia.
Nel 1918 l’apertura della strada da Borgofranco d’Ivrea pose fine all'isolamento plurisecolare di Andrate che venne messa in comunicazione con gli altri centri canavesani e progressivamente divenne apprezzato centro turistico, famoso per le sue viste panoramiche, tanto da essere conosciuto come il “balcone del Canavese”.
Fra Andrate e San Giacomo (regione sui 1.200 mls) fino ai primi anni 60 c'erano solo prati e pascoli, con permanenza da maggio a ottobre di un centinaio di persone e di un centinaio di mucche; l'alimentazione era a base di latte, rotture di riso e pasta e soprattutto Polenta:
le castagne e il burro erano barattate con la farina di mais degli agricoltori della pianura.
Il latte e la gran parte di burro e formaggio erano destinati all'autoconsumo; la vendita del vitello ingrassato costituiva la maggior parte del reddito.
STORIA CAREMA:
Ultimo paese del Canavese verso nord, Carema è situato in un'area storicamente di confine; tra Italia e Gallia in epoca romana, tra regno d'Italia e borgognone nel Medioevo, tra Piemonte e Valle d'Aosta in epoca recente.
Di origine romana, la sua nascita è legata all'importante Via delle Gallie. Il toponimo "Carema" deriverebbe infatti dal latino quadragesimum lapidem ab Augusta Praetoria, ovvero a quaranta miglia romane da Aosta, diventato per successive deformazioni quadragesima o quaresima, poi quaresme, caresme e infine Carème. Un'altra versione fa riferimento a Cameram, cioè "dogana": pare sicuro, infatti, che qui si versasse un pedaggio del 2,5% sul valore delle merci in transito dalle Gallie all'Italia.
Il borgo romano era anche mansiones, ovvero sede di una guarnigione militare, e sito minerario con una piccola miniera di rame e un magazzino appartenenti a Caio Sallustio Crispo, nipote dello storico Sallustio.
In epoca medioevale Carema fu assegnato con diploma imperiale al Vescovo d'Ivrea, che investì del feudo gli Ugoni da Brescia, signori anche del castello di Castruzzone (Castrum Ugonis): essi fondarono il loro potere sul diritto all'esazione del pedaggio, distinguendosi però per le spoliazioni e le vessazioni.
Nel 1171 i marchesi del Monferrato riuscirono ad estendervi la loro influenza e ad amministrare il diritto di pedaggio, nonostante l'opposizione del vescovo eporiedese. Nel 1313 i Savoia ampliarono il loro controllo su Ivrea e parte del Canavese; nel 1357 Amedeo VI ricevette in feudo perpetuo dal Vescovo di Ivrea le terre e i castelli della Valle Dora Baltea, tra cui Carema e Castruzzone. Da questo momento la storia di Carema è legata ai Savoia, che nel corso dei secoli ne cedettero la proprietà a famiglie nobili locali (i De Jordanis di Montalto, i Vallesa, i Conti di Challant) fino al 1797, quando Carlo Emanuele IV abolì i diritti feudali.
I Savoia incorporarono il territorio nel ducato di Aosta per poi reinglobarlo di nuovo, nella seconda metà del cinquecento, nel canavese. Il fascismo lo reinserirà nella provincia d'Aosta; Carema è tornato al Piemonte con la Repubblica.
STORIA NOMAGLIO:
Le prime attestazioni dell’esistenza di Nomaglio fanno riferimento ad investiture anteriori al XIII secolo, anche se la documentazione riguardante il paese diviene più fitta solo a partire dai primi decenni del Duecento, quando si riscontrarono riferimenti ad un comprensorio territoriale di “Nomallo et eius territorio et eius Curte”.
All'inizio del 1300 la Mensa vescovile di Ivrea deteneva la giurisdizione sul paese e sull'intera vallata di Montalto, finchè, nel 1357, il Vescovo di Ivrea, Giacomo De Francisco ne fece cessione ai Savoia, sotto i quali furono progressivamente infeudate di Nomaglio parecchie famiglie, tra le quali i Cacchiotti da Agliè, i Vulliet, Rovasenda di Tavagnasco, Lasbianca, Mola.
Tra il 1799 ed il 1801 Nomaglio partecipò con i suoi abitanti ai moti antifrancesi (Rivoluzione degli zoccoli) al fianco di altri paesi della vallata di Montalto e di molti centri canavesani e valdostani. Nel 1929 fu unito ad Andrate, riguadagnando però l’autonomia nel 1954.
STORIA SETTIMO VITTONE:
Da Settimo Vittone, in epoca romana, passava la via delle Gallie, strada romana consolare fatta costruire da Augusto per collegare la Pianura Padana con la Gallia.
Il territorio del concentrico e le frazioni di Torredaniele, Cesnola e Montestrutto sono inserite sul percorso canavesano della Via Francigena.
Il Castello di Settimo Vittone fu fondato nel IX secolo da Attone Anscario, primo Marchese d’Ivrea che vi fissò la sua seconda dimora, il castello venne fatto smantellare nel ’500 durante la guerra tra Spagnoli e Francesi dal Duca Carlo III di Savoia insieme a quelli di Cesnola e Castruzzone. Restano dell’impianto medioevale i ruderi di una torre e alcuni fregi in cotto. Tra tardo ’600 e XVlII secolo vennero ampliati i corpi di fabbrica più antichi che si affacciano sulla valle. Questa parte, detta "castello nuovo", ha assunto nel tempo le fattezze di una villa residenziale.
La Pieve di San Lorenzo si trova sopra il capoluogo. Su un ardito sperone di roccia è adagiata un’antica costruzione. Da un lato la chiesa della Madonna delle Grazie e dall’altro possenti murature traforate da un arco, che immette in un ampio spazio. Qui sorge il battistero ottagonale di San Giovanni del IX secolo, con un’abside quadrata e la chiesetta, dove sono visibili numerosi cicli di affreschi realizzati da pittori operanti tra il 1100 e la fine del 1400.
Pare che l’origine del paese sia molto antica: la teoria si basa infatti sul nome del Comune, in quanto deriverebbe dalle parole celtiche “and” e “art”, significanti “terra di confine”; come oggi separa, lungo il corso superiore del torrente Viona, il Canavese dal Biellese, in era precristiana separava i Salassi, popolo tenace e battagliero sottomesso ai Romani solo dopo il 350 a.c. a prezzo di una gran profusione di uomini e mezzi, dagli Ictimuli.
I Salassi, anche se di indole guerriera, erano comunque dediti alla pastorizia e all’agricoltura, grazie alla loro perizia nelle opere irrigue, che li portò a continui contrasti con gli Ictimuli, che invece deviavano le acque del Viona per recuperare l’oro in esse presente; vestigia precristiane sono ancora rintracciabili nel muro di cinta all’ingresso del cimitero (iscrizione funeraria per “Ocno, figlio di Iovone”) e reperti romani sono presenti nel Museo di Andrate.
La difficile accessibilità dal fondo valle preservò per secoli gli andratesi dai flagelli delle guerre e dalle scorribande dei malfattori; ciò permise anche di non erigere un castello.
In epoca medioevale fu feudo del Vescovo d’Ivrea, da cui si affrancò solo nel 1862; al centro del feudo, racchiuso entro mura e chiamato “Villa”, si rapportavano un gran numero di insediamenti, in cui si praticava l’allevamento e un’agricoltura di sussistenza. Gli ultimi anni del 1200 e fino al 1309 furono contraddistinti da una forte contrapposizione con i Vercellesi, che miravano ad espandersi nel Canavese ed eressero una Torre detta della Bastia nel territorio di Chiaverano al confine con quello di Andrate, per il controllo delle acque e delle strade di comunicazione con il Biellese (l’antica via del commercio); la torre fu vissuta come un’usurpazione da chiaveranesi ed andratesi, originando proteste, dispute, sabotaggi, fino all’atto finale con la sua distruzione ad opera di questi ultimi nel 1309.
Fin dal 1410 la vita di Andrate fu autogovernata secondo le disposizioni dello statuto, composto da 145 articoli, pur mantenendo una relativa dipendenza dal vescovo.
La Comunità dipendeva totalmente dell'agricoltura di montagna (anche Canapa) e dell'allevamento; gli artigiani del legno e del ferro erano parte integrante delle comunità agricole.
Nel tempo le attività tradizionali vennero affiancate dalla lavorazione dei metalli, come testimoniato dai ruderi dell’antica fucina Brunero (attiva dalla metà del settecento fino al 1964), i cui reperti sono esposti nell’area prospiciente il Museo etnografico, che dispone di una ricca collezione di oltre settecento oggetti ed attrezzi che testimoniano la vita ed il lavoro di una comunità montana: nelle sale gli oggetti sono presentati sotto forma di laboratori, in modo che il visitatore possa meglio capire e ricordare le attività del passato; una parte dell'esposizione documenta la vita contadina andratese attraverso una raccolta fotografica. Nel parco attrezzato esterno sono visibili anche mezzi agricoli dell'’800 e del primo ‘900 e un torchio a barra.
Il Rial (ruscello), che la tradizione dice fosse stato deviato dal Viona dai Salassi per irrigare il terreno e lavare le sabbie aurifere, era utile alle lavandaie, esistevano le fosse d'acqua per il lavaggio della lana e per la macerazione della canapa, faceva funzionare i mulini e le fucine e forniva l'acqua domestica agli abitanti della Villa.
Ogni manufatto, edificio o alterazione della Natura primitiva, costruito dai valligiani nei secoli, ha un suo senso, una logica perfettamente rispondente alle caratteristiche climatiche ed idrogeologiche locali.
La scoperta delle tecniche di trasformazione nei suoi classici derivati, burro e formaggio, permise di poter conservare e concentrare le proprietà nutrienti del latte in una forma duratura e facilmente trasportabile e commerciabile; inoltre consentì di completare il ciclo produttivo estivo con lo sfruttamento invernale delle scorte accumulate o il loro scambio con i prodotti agricoli ed i manufatti non esistenti in loco, anche grazie al ponte Raisach, che costituiva nei secoli scorsi l'unica via d'accesso al Biellese. Il trasporto di materiali e prodotti avveniva con le gerle o con le lesse; nella seconda metà dell'ottocento si costruirono mulattiere totalmente selciate adatte all'uso.
Le ca veje furono i primi insediamenti montani datati 1700 mentre gli altri arrivarono a fine 1800;
la malga dei balarin deve il suo nome al fatto che bisognava attraversare un ruscello saltando da una pietra all'altra come ballerini!
Balma Pica (grotta delle streghe o delle malghe) dava rifugio durante i temporali ai pastori;
la leggenda dice che si incontravano le streghe per ordine i loro infernali intenti consumando una fumante Polenta!
Le Baite prevedevano la cucina, la stalla, il fienile e il crutin per la conservazione del formaggio.
La fonte di energia era il fuoco, l'acqua corrente era un lusso e la corrente elettrica arrivò nel 1903 (primi nell'AMI). Siccome la quota di Andrate è troppo elevata per la coltivazione della vite gli andratesi acquistavano o coltivavano uve in altre località per poi vinificare.
Nel 1911 Andrate ebbe il picco di abitanti: 1196; poco dopo si registrò una discreta emigrazione degli andratesi verso la Francia, soprattutto come lavoratori per l’edilizia.
Nel 1918 l’apertura della strada da Borgofranco d’Ivrea pose fine all'isolamento plurisecolare di Andrate che venne messa in comunicazione con gli altri centri canavesani e progressivamente divenne apprezzato centro turistico, famoso per le sue viste panoramiche, tanto da essere conosciuto come il “balcone del Canavese”.
Fra Andrate e San Giacomo (regione sui 1.200 mls) fino ai primi anni 60 c'erano solo prati e pascoli, con permanenza da maggio a ottobre di un centinaio di persone e di un centinaio di mucche; l'alimentazione era a base di latte, rotture di riso e pasta e soprattutto Polenta:
le castagne e il burro erano barattate con la farina di mais degli agricoltori della pianura.
Il latte e la gran parte di burro e formaggio erano destinati all'autoconsumo; la vendita del vitello ingrassato costituiva la maggior parte del reddito.
STORIA CAREMA:
Ultimo paese del Canavese verso nord, Carema è situato in un'area storicamente di confine; tra Italia e Gallia in epoca romana, tra regno d'Italia e borgognone nel Medioevo, tra Piemonte e Valle d'Aosta in epoca recente.
Di origine romana, la sua nascita è legata all'importante Via delle Gallie. Il toponimo "Carema" deriverebbe infatti dal latino quadragesimum lapidem ab Augusta Praetoria, ovvero a quaranta miglia romane da Aosta, diventato per successive deformazioni quadragesima o quaresima, poi quaresme, caresme e infine Carème. Un'altra versione fa riferimento a Cameram, cioè "dogana": pare sicuro, infatti, che qui si versasse un pedaggio del 2,5% sul valore delle merci in transito dalle Gallie all'Italia.
Il borgo romano era anche mansiones, ovvero sede di una guarnigione militare, e sito minerario con una piccola miniera di rame e un magazzino appartenenti a Caio Sallustio Crispo, nipote dello storico Sallustio.
In epoca medioevale Carema fu assegnato con diploma imperiale al Vescovo d'Ivrea, che investì del feudo gli Ugoni da Brescia, signori anche del castello di Castruzzone (Castrum Ugonis): essi fondarono il loro potere sul diritto all'esazione del pedaggio, distinguendosi però per le spoliazioni e le vessazioni.
Nel 1171 i marchesi del Monferrato riuscirono ad estendervi la loro influenza e ad amministrare il diritto di pedaggio, nonostante l'opposizione del vescovo eporiedese. Nel 1313 i Savoia ampliarono il loro controllo su Ivrea e parte del Canavese; nel 1357 Amedeo VI ricevette in feudo perpetuo dal Vescovo di Ivrea le terre e i castelli della Valle Dora Baltea, tra cui Carema e Castruzzone. Da questo momento la storia di Carema è legata ai Savoia, che nel corso dei secoli ne cedettero la proprietà a famiglie nobili locali (i De Jordanis di Montalto, i Vallesa, i Conti di Challant) fino al 1797, quando Carlo Emanuele IV abolì i diritti feudali.
I Savoia incorporarono il territorio nel ducato di Aosta per poi reinglobarlo di nuovo, nella seconda metà del cinquecento, nel canavese. Il fascismo lo reinserirà nella provincia d'Aosta; Carema è tornato al Piemonte con la Repubblica.
STORIA NOMAGLIO:
Le prime attestazioni dell’esistenza di Nomaglio fanno riferimento ad investiture anteriori al XIII secolo, anche se la documentazione riguardante il paese diviene più fitta solo a partire dai primi decenni del Duecento, quando si riscontrarono riferimenti ad un comprensorio territoriale di “Nomallo et eius territorio et eius Curte”.
All'inizio del 1300 la Mensa vescovile di Ivrea deteneva la giurisdizione sul paese e sull'intera vallata di Montalto, finchè, nel 1357, il Vescovo di Ivrea, Giacomo De Francisco ne fece cessione ai Savoia, sotto i quali furono progressivamente infeudate di Nomaglio parecchie famiglie, tra le quali i Cacchiotti da Agliè, i Vulliet, Rovasenda di Tavagnasco, Lasbianca, Mola.
Tra il 1799 ed il 1801 Nomaglio partecipò con i suoi abitanti ai moti antifrancesi (Rivoluzione degli zoccoli) al fianco di altri paesi della vallata di Montalto e di molti centri canavesani e valdostani. Nel 1929 fu unito ad Andrate, riguadagnando però l’autonomia nel 1954.
STORIA SETTIMO VITTONE:
Da Settimo Vittone, in epoca romana, passava la via delle Gallie, strada romana consolare fatta costruire da Augusto per collegare la Pianura Padana con la Gallia.
Il territorio del concentrico e le frazioni di Torredaniele, Cesnola e Montestrutto sono inserite sul percorso canavesano della Via Francigena.
Il Castello di Settimo Vittone fu fondato nel IX secolo da Attone Anscario, primo Marchese d’Ivrea che vi fissò la sua seconda dimora, il castello venne fatto smantellare nel ’500 durante la guerra tra Spagnoli e Francesi dal Duca Carlo III di Savoia insieme a quelli di Cesnola e Castruzzone. Restano dell’impianto medioevale i ruderi di una torre e alcuni fregi in cotto. Tra tardo ’600 e XVlII secolo vennero ampliati i corpi di fabbrica più antichi che si affacciano sulla valle. Questa parte, detta "castello nuovo", ha assunto nel tempo le fattezze di una villa residenziale.
La Pieve di San Lorenzo si trova sopra il capoluogo. Su un ardito sperone di roccia è adagiata un’antica costruzione. Da un lato la chiesa della Madonna delle Grazie e dall’altro possenti murature traforate da un arco, che immette in un ampio spazio. Qui sorge il battistero ottagonale di San Giovanni del IX secolo, con un’abside quadrata e la chiesetta, dove sono visibili numerosi cicli di affreschi realizzati da pittori operanti tra il 1100 e la fine del 1400.